Il mondo delle professioni è attraversato da una polarizzazione crescente tra lavori ad alta qualificazione e ben retribuiti e altri, scarsamente remunerativi, che richiedono competenze limitate. Tra tecnologia, innovazione e mercati internazionali il primo polo è in crescita numerica.
Il mercato italiano non sembra pronto ad affrontare questi cambiamenti. Oltre a problemi oggettivi e misurabili, come la mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo o la mancanza di percorsi di formazione messi a sistema, il problema nostrano pare essere strutturale e legato a una mentalità che fatica ad aggiornarsi. Solo il 14% degli imprenditori italiani è laureato, tende a non assumere personale laureato e non investe in formazione e aggiornamento, né per sé, né per i suoi dipendenti o collaboratori. Quello delle piccole imprese italiane è un modello fatto di sapere tecnico limitato, caratterizzato da una protezione e una chiusura che non permettono l’inserimento di nuove grammatiche aziendali.
Il mercato italiano si basa su un equilibrio economico fragile che di fatto rappresenta una trappola: low skill equilibrium. Il sistema industriale richiede scarse competenze, esattamente quelle che sono presenti sul mercato. C’è quindi un incontro tra domanda e offerta. Questo fenomeno, apparentemente confortevole, conduce alla stagnazione della produttività. La non competitività genererà nuove povertà e diseguaglianze, migrazioni di talenti e un ovvio indebolimento del sistema aziendale.
Secondo i relatori dell’incontro, per evitare la cronaca di un disastro annunciato, sono necessari investimenti e ragionamenti che partano dalla messa in discussione del nostro sistema educativo e formativo. Non c’è formazione continua senza istruzione.
È altrettanto necessario favorire l’accesso e la gestione consapevole della tecnologia, del digitale e dell’informazione che sono ormai pervasivi e la cui ignoranza non è più tollerabile. Il primo investimento da fare è, quindi, sul valore e le competenze delle persone.
In secondo luogo bisogna progettare un sistema formativo di qualità che coinvolga le imprese, le associazioni di categoria, le università, gli enti del territorio, i facilitatori, le banche. Servono interazione e programmi integrati, servizi, sistemi urbani nei quali le relazioni permettano la condivisione e l’accesso alla conoscenza.
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