
La tesi di Barbosa è che le disuguaglianze in Occidente abbiano spinto sempre più verso proposte populiste, anche a causa della repressione salariale, soprattutto nella politica fiscale. La quota salariale, infatti, dagli anni ‘60 è diminuita. “Nel breve periodo la fluttuazione subisce gli shock della recessione ma anche la politica macroeconomica ha influenza. A lungo termine i fattori da prendere in considerazione sono la demografia, i trend di produttività e di domanda, la globalizzazione finanziaria, i cambiamenti istituzionali e i conflitti di classe”.
Il Fondo monetario internazionale, dalla sua, spiega il declino dei salari come il risultato di un cambiamento tecnico, legato alla riduzione nel prezzo relativo del capitale e all’automazione. Parte di questo cambiamento è frutto anche dell’integrazione commerciale e di fattori politici.
Un’elevata insicurezza lavorativa e salari più bassi sono associati a una disuguaglianza di guadagno percepita come ingiusta. Il populismo poi si nutre di questa insofferenza e si rinforza nel rappresentare i “reali interessi della gente”
Barbosa ha poi proposto un confronto tra populismi di destra e sinistra, tra Sud America e Paesi Occidentali. “In Sudamerica la molla che fa scattare il populismo di sinistra sono gli interventi a favore del capitale, a destra la corruzione e il governo inefficiente. Da sinistra il target sono i finanzieri, a destra i politici corrotti. Nei Paesi più avanzati, invece, la molla a destra è l’immigrazione e le perdite legate al commercio, con il bersaglio che diventano i burocrati del governo”.
Ci sono comunque tante alternative economiche per evitare l’insorgere del populismo che prevedono la divisione del rischio e dei costi del cambiamento strutturale. Il bilancio dei governi però deve essere riorientato verso la riduzione dei conflitti sociali e la crescita degli investimenti, approfittando dei bassi tassi di interesse. Esempio storico di questa strategia è stata la politica applicata dopo la riunificazione della Germania.
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