Ai piedi delle Pale di San Martino, in Primiero, le fototrappole del MUSE hanno immortalato una specie rara ed elusiva, mai segnalata prima nel Trentino orientale. Si tratta del gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris), un piccolo carnivoro specializzato nella cattura di roditori, dall’aspetto simile a quello di un grosso gatto domestico soriano. Alcune caratteristiche morfologiche però lo distinguono dal cugino domestico, e una attenta analisi del mantello eseguita dagli zoologi del MUSE e dell’ Università di Firenze, con l’aiuto di esperti esterni, colloca l’esemplare fotografato in Primiero con alta probabilità nella specie selvatica. In particolare, sono caratteristiche eloquenti la coda clavata, con punta nera e anelli chiusi e staccati, e la netta linea dorsale che termina all’attaccatura della coda, con peculiari striature a livello della nuca e delle spalle.
“Si tratta di una specie solitaria, territoriale e di abitudini notturne con una predilezione per gli ambienti forestali a latifoglie - spiega Marco Salvatori, dottorando di ricerca presso il MUSE e l’Università di Firenze - questa specie misteriosa e affascinante ha subìto in passato, al pari di molti altri carnivori, una crudele persecuzione perché considerato animale nocivo dagli agricoltori: nel 1939 il Regio Decreto N. 1016 ne promuoveva l’uccisione con tagliole, trappole e bocconi avvelenati. Dalla metà degli anni Settanta la protezione legale accordatagli ne ha consentito un recupero demografico. Tuttavia, la specie ha una distribuzione molto ristretta nell’arco alpino, essendo presente con certezza solo nel settore friulano e bellunese, mentre è stabilmente diffuso lungo la catena appenninica, in Sicilia, e in Sardegna. Il nostro ritrovamento fotografico è pertanto importante, specialmente per il contesto delle Alpi, perché testimonia di una possibile espansione verso occidente del nucleo presente nel Veneto settentrionale ”.
Avvisato del ritrovamento, Luigi Boitani, tra i massimi esperti di grandi carnivori in Italia e componente del Comitato scientifico del MUSE, ha sottolineato come “i grandi e medi predatori, dalla volpe all’orso, sono a torto considerati punte di diamante della biodiversità animale, quasi fossero indicatori di eccellenza nella qualità dell’habitat. In realtà, sono quasi tutti (con qualche eccezione, come la lince) animali opportunisti, generalisti e comunque molto adattabili e anche il gatto selvatico è molto accomodante nelle sue esigenze alimentari e ambientali. Il loro ritorno significa dunque che sulle Alpi è finita l’era delle persecuzioni e sono aumentati lo spazio che l’uomo sta concedendo a queste specie, la tolleranza della loro presenza, l’accettazione di una possibile coesistenza. E questa è una splendida notizia”.
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La scoperta nasce da una collaborazione fra MUSE, Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e settore ricerca del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino che, nell'area del Parco, hanno avviato dal 2020 un progetto scientifico di monitoraggio dei mammiferi tramite foto-trappole.
“La tecnica del foto-trappolaggio – afferma Francesco Rovero, professore presso l’Università di Firenze e coordinatore scientifico del progetto – si conferma ancora una volta uno strumento eccezionale per lo studio della fauna selvatica. Inserito nell’allegato 4 della direttiva Habitat dell’Unione Europea, il gatto selvatico è una specie prioritaria per la conservazione e la tutela, dato che subisce l’impatto della frammentazione degli habitat forestali causato dalle strade e altre infrastrutture, e dagli investimenti automobilistici. Una forte minaccia per la specie è inoltre costituita dall’ibridazione con il gatto domestico, che può inquinare il suo patrimonio genetico e portare alla presenza di tratti non adattativi, come colorazioni del mantello anomale e maggiore suscettibilità a patologie ”.
Questa nuova presenza, concludono gli esperti di MUSE e Università di Firenze, è una bella notizia per gli ecosistemi del Trentino e delle Alpi in generale, un nuovo tassello di biodiversità che si inserisce nella complessa rete di interrelazioni degli organismi alpini, in un ambiente che rimane comunque fortemente utilizzato dall’uomo. In futuro sarà dunque importante monitorare accuratamente la situazione per appurare la presenza di una popolazione stabile e verificare il suo stato di salute.