Venerdì, 15 Febbraio 2013 - 02:00 Comunicato 407

Alla Fondazione Mach si è svolto un incontro sull'attività di miglioramento genetico della vite
LA VITICOLTURA DEL FUTURO TRA QUALITA' E RESISTENZA ALLE MALATTIE

La sfida per la viticoltura del futuro è già iniziata. Bisogna puntare ad una qualità elevata, attraverso piante resistenti alle principali malattie fungine, che permettano quindi meno trattamenti andando incontro ad una viticoltura più sostenibile. Su questi obiettivi si sta concentrando l'attività di miglioramento genetico della vite, che viene promossa dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele e dal Centro di Sperimentazione Agraria e Forestale di Laimburg. Attualmente sono allo studio decine di nuove varietà. Nel 2011/2012 a San Michele su quasi 200 piante, frutto di incroci, è stata riscontrata una resistenza importante a oidio e peronospora. Se l'attività dovesse proseguire con questi ritmi, diverse piante resistenti dovrebbero essere disponibili per i viticoltori trentini entro i prossimi 10 anni.-

Per illustrare le novità in questo campo si è svolto oggi pomeriggio un incontro al Palazzo della Ricerca e della Conoscenza di San Michele al quale hanno partecipato più di 100 viticoltori provenienti anche da fuori regione, che si sono potuti confrontare con i principali esperti a livello europeo nel miglioramento genetico della vite.
Ad aprire il seminario è stato Enrico Giovannini del Civit (Consorzio Innovazione Vite), nato dalla collaborazione tra i vivaisti viticoltori trentini ed i ricercatori della Fondazione Mach. "La viticoltura moderna - ha sottolineato Giovannini - chiede innovazione. Ci sono, infatti, nuovi bisogni: ridurre il numero degli interventi fitoiatrici, soprattutto in aree vicine a centri abitati, ed avere piante che si adattino al cambiamento climatico e alle temperature più alte. Per tutto questo serve un programma di miglioramento genetico mirato e la Fondazione Mach ha un ruolo centrale ed indispensabile in quest'ottica". Marco Stefanini, responsabile del miglioramento genetico a San Michele, ha ribadito come "la resistenza alle principali malattie fungine (come oidio e peronospora, ndr) significa favorire una viticoltura più sostenibile. Quindi, attraverso gli incroci, stiamo realizzando e selezionando piante che reagiscono meglio ai patogeni, che si adattano allo stress generato dal cambiamento climatico e che garantiscano maggiore qualità", e quindi vini migliori da mettere sul mercato. Barbara Raifer, presentando il lavoro del Centro di Laimburg, ha invitato a tenere i piedi per terra ricordando che "le resistenze non sono assolute", ma ha mostrato ottimismo per i prossimi anni in quanto "si sta attraversando una fase di forte evoluzione in questo campo e in un futuro non troppo lontano potremmo avere varietà significativamente resistenti". L'attenzione si è poi soffermata sulla qualità delle nuove varietà, "molto buona, soprattutto per quanto riguarda i vini bianchi", ha affermato Raifer.
Infine, Raffaele Testolin dell'Università di Udine ha posto una questione interessante: attraverso questi incroci rinnoveremo le vecchie varietà, come Teroldego, Cabernet o Merlot, oppure nascerà qualcosa di nuovo? "Non sarà possibile - ha spiegato Testolin - ricostituire le varietà usate come "genitori" di quelle nuove. Certo, i profili aromatici possono ricordare varietà alla quali siamo legati, ma sono convinto - ha concluso - che con le nuove varietà si deve rompere col passato, creando qualcosa di innovativo".
A proposito di nuove varietà di vite, sono in costante aumento. Attualmente quelle coltivabili in Italia sono solamente Bronner e Regent. Sono state effettuate domande per altre sei varietà coltivabili, ma la strada non sarà breve anche se si spera di ottenere risposte a livello nazionale nei prossimi mesi. -