Venerdì, 31 Maggio 2019 - 18:44 Comunicato 1243

L’immigrazione è una situazione d’emergenza? No, è strutturale

Gli stranieri lavorano tanto, ma stanno peggio. Intanto ci pagano le pensioni. Ma quando invecchieranno chi pagherà le pensioni a loro? Dati e statistiche presentano una fotografia reale dei flussi migratori alla luce di un profilo economico e di welfare sociale che lascia intravedere che la vera emergenza non è tanto il fenomeno migratorio in sè, quanto un approccio strutturale differente da quello adottato in Europa, ed in Italia, fino ad ora. Oggi al Festival dell’Economia a Palazzo Calepini, incontro a cura della Fondazione Iniziative e Studi sulla Multietnicità – ISMU aperto dal Presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo. Tra i relatori Luigi Bonatti, dell’Università di Trento, Mario Raffaelli, Presidente di Amref Italia e Laura Zanfrini, Responsabile Settore Economia e Lavoro Fondazione ISMU.

In Italia la presenza degli stranieri è cresciuta davvero tanto. Ancor più è cresciuta la percezione che abbiamo in termini negativi. "Ci rubano il lavoro" si sente spesso dire. Sono fuori dal mercato regolare, ci portano via i nostri soldi" ed altre considerazioni di tal genere che però sono un riflesso della percezione distorta della realtà, fatta di slogan e allarmismi sociali, più che di una vera e propria emergenza costante. Se negli anni Sessanta erano circa 60 mila, oggi sono 5,1 milioni gli stranieri residenti in Italia, stando ai dati ISTAT 2018, con una flessione tra “regolari” e “irregolari” a seconda delle politiche sanatorie ed un “ringiovanimento” della nostra popolazione. Un’iniezione di vitalità che dev’essere per forza presa in considerazione – come detto dal Presidente dell’Istituto di Statistica Nazionale. Interessante è anche leggere la variazione in dieci anni del numero di occupati (2008-2018): in termini assoluti oggi il livello di occupazione è il medesimo, ma bilanciato diversamente. La tendenza qual è? Bisogna mettere in conto che la componente straniera, anche per la parte anziana, acquisirà nel tempo un ruolo sempre più fondamentale. Così come fondamentale è la vertiginosa crescita demografica nel continente Africano, a fronte però di un “non miglioramento” delle condizioni di vita in quel Paese. Lecito, dunque, aspettarsi una sempre più movimentazione di flussi demografici verso altri Paesi, Italia non esclusa. Ma l'Italia, non è pronta per tutto questo. 

Il professor Luigi Bonatti, che insegna politica economica all’Università di Trento, ha offerto un’analisi strettamente italiana. Tanti i migranti che negli ultimi anni sono penetrati nella Penisola, strutturalmente caratterizzato da un tasso di occupazione molto basso, tra i più bassi al mondo in zona OCSE, quella relativa ai Paesi industrializzati, dato che incrocia il tasso di disoccupazione elevato e quello dei fuori usciti dal mercato del lavoro. Però, il tasso di occupazione della forza lavoro straniera è tendenzialmente più alto rispetto ai “nativi”, soprattutto al sud, ma il riferimento è ai lavori più umili (pastori, braccianti, badanti, lavori agricoli, microimprese nel commercio al dettaglio etc…). Gli immigrati cioè lavorano di più ma lavorano peggio. Secondo l’Inps i salari medi di lavoratori extra UE sono del 35% più bassi dei lavoratori medi iscritti all’Inps. Ciò non vuol dire che la povertà assoluta in Italia stia aumentando. Sempre stando al bilancio dell’Inps, che è positivo, gli immigrati regolarmente impiegati, stanno pagando più prestazioni contributive rispetto ai nativi. Ma tra qualche anno quando la popolazione di origine straniera invecchierà sarà necessario un approccio di medio-lungo termine, che  possa il valore presente atteso del contributo netto alla finanza pubblica dei migranti e delle loro famiglie nel corso della vita.

Certo è che il populismo italiano è figlio di questo momento di crescita, considerato dal professor Bonatti come un animale bicefalo a due bocche: una si è alimentata dalla mancata inclusione nell’economia formale di un grande numero di italiani (Sud), l’altra si è nutrita principalmente del notevole afflusso di migranti, seppur malamente integrati.

Una sorta di schizofrenia dell’approccio europeo, definito così da Laura Zanfrini, Responsabile Settore Economia e Lavoro di Fondazione ISME, che tenta di tenere insieme la logica economicistica che regola i sistemi di ingresso e soggiorno, e la logica solidaristica e delle pari opportunità. Condizione che porta ad uno svantaggio strutturale per gli immigrati e le loro famiglie, più esposti al rischio di perdere il lavoro e rappresentati nei settori maturi e a bassa produttività, con retribuzioni mediamente più basse e maggiormente presenti nell’economia sommersa.  Il discorso “pro – immigrati” fatto da molti esponenti della classe civile, da organizzazioni non governative e una certa classe politica è un discorso miope, che porta all’aumento della percezione del fenomeno in maniera negativa sul territorio, che alimenta tensioni e incoraggia richieste di politiche orientate alla chiusura sociale, piuttosto che all'inclusione sociale. Un modello non coerente con una demografia dove un quarto di bambini in Italia sono figli di stranieri, elemento sul quale riflettere.

Alla luce dei dati, il Presidente di Amref Italia, ha spiegato che l’immigrazione non è una questione di emergenza, ma una questione essenzialmente strutturale. Il tasso di immigrazione in Europa dall’Africa, nell’arco degli ultimi anni è rimasto invariato proporzionalmente all’aumento della popolazione africana. Politiche volte all’integrazione, come il progetto pilota attivato a Bergamo tra Comune,  Associazione Industriali e Ong che permette di avere ricadute a lungo termine: gli immigrati africani per un dato periodo possono acquisire formazione e lavorare in azienda, guadagnare un salario così da portare una professionalità ormai acquisita e una maggior autonomia finanziaria, riutilizzandola, una volta reintegrati nel loro Paese d'origine. 



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