
Un amore verso l’Inter, verso l’Italia e, in generale, per il mondo del pallone. Quella di Lothar Matthäus, leggenda della sponda nerazzurra di Milano, è la storia di un campione che sente ancora un forte legame con il nostro Paese e che i suoi tifosi non hanno mai dimenticato.
Di Matthäus fu per primo Giovanni Trapattoni a dire che era un calciatore diverso: “Mi disse che non ero Maradona o Platini, ma per vincere aveva bisogno di me – ha spiegato l’ex calciatore tedesco –. Ed è stato lui a volermi più di tutti: altri club erano interessati a me, ma Trapattoni ha lottato per avermi assolutamente. Mi ha addirittura dato il numero 10, una cosa speciale in un momento in cui quel numero si legava a giocatori fortissimi. E per me ha sempre rappresentato qualcosa per dare di più, nonostante ci abbia messo un po’ ad abituarmi a quella maglia. Sentivo la responsabilità di dover cambiare le cose: erano anni che l’Inter non vinceva lo scudetto, ma ci siamo riusciti”.
Non è mancato qualche retroscena di mercato: “Se mi ha cercato il Milan? Sì, lo ammetto – ha aggiunto Matthäus –. Nel 1986 c’è stato un incontro con una delegazione arrivata a Monaco. Hanno cercato di convincermi che fosse la scelta migliore, ma all’epoca avevo un contratto con il Bayern Monaco e non mi sentivo pronto ad arrivare in una Serie A che in quel momento era davvero troppo forte. Dopo l’Inter, nel 1991 avevo voglia di cambiare perché sapevo che non sarebbe stato possibile replicare quanto fatto negli anni precedenti. Ma non accettai l’offerta del Real Madrid, tornai al Bayern Monaco”.
Lo scudetto dei nerazzurri, quello del 1989 definito ‘lo scudetto dei record’ (conquistato a quattro giornate dalla fine del campionato), ha rappresentato un momento di fondamentale importanza: “In alcuni momenti ho sentito che poteva mancare la fiducia nel risultato finale, soprattutto per via di tutto quel tempo senza conquistare un titolo – ha aggiunto Matthäus –. Ma forse ciò che noi ‘nuovi’ abbiamo portato è stata l’energia positiva che ci ha aiutati a vincere. E dobbiamo ringraziare i tifosi che ci hanno sempre sostenuti con la loro energia: insieme abbiamo scritto la storia. E quando ho segnato il gol decisivo su punizione contro il Napoli, davanti a oltre ottantamila persone, ho provato un’emozione fortissima. San Siro ha fondamenta solide, ma in quel momento l’esultanza è stata così forte che ho pensato venisse giù lo stadio”.
Davanti ad un Auditorium Santa Chiara quasi esaurito, Matthäus ha ricevuto un saluto particolare, quello del suo ex capitano Giuseppe Bergomi: “Sei stato il compagno più forte con cui abbia mai giocato, avevi sempre voglia di migliorare” ha ricordato quest’ultimo. E in effetti, nel 1990, ecco arrivare il Pallone d’Oro: “Ma se non si gioca in una squadra all’altezza, non si può vincere un simile trofeo” ha spiegato Matthäus.
Poi il ritorno al Bayern Monaco e, nel 1994, per Matthäus una nuova avventura con Trapattoni in panchina: “Doveva andare alla Roma e mi chiamò per tornare in Italia, nella Capitale. Aveva una grandissima fiducia in me. Ma quando la Roma cambiò idea, io capii che poteva esserci la possibilità di portarlo in Germania. Il tedesco? Non lo ha imparato da me, ma ha voluto che fossi il suo portavoce nella squadra. Gli devo molto, mi ha insegnato tanto e ho vinto il Pallone d’Oro grazie anche a lui. È stato come un padre e ha sempre dato ottimi consigli alla squadra per far crescere tutti noi”.