Venerdì, 01 Giugno 2012 - 02:00 Comunicato 1518

È necessaria un'inversione di rotta: pari opportunità anche all'interno delle mura domestiche
L'ITALIA? UN PAESE ANCORA MASCHILISTA

L'articolo 56 del decreto legge sul lavoro del ministro Elsa Fornero prevede un giorno di assenza obbligatoria dal lavoro per i neo papà, iniziativa già indicata nei blog "papà per un giorno", e che oggi al Festival dell'Economia di Trento, durante l'incontro "Stabilità della famiglia e rivoluzione nel ruolo delle donne", grazie all'intervento di Gosta Esping Andersen, dimostra di essere in linea con le tendenze dell'evoluzione della famiglia italiana. "In Italia – spiega Andersen – la rivoluzione femminile non è ancora matura". Per avere tassi di natalità più alti e matrimoni più duraturi infatti, gli uomini dovrebbero iniziare ad apportare il loro contributo alla famiglia. In altre parole le pari opportunità devono entrare nelle dinamiche famigliari.-

L'incontro, mediato dalla giornalista dell'Unità, Maria Serena Palieri, ha messo in luce come negli ultimi dieci anni le statistiche dimostrino un'inversione di rotta nei paesi scandinavi, mentre nell'area sud dell'Europa, con particolare riferimento all'Italia seguita da Spagna e Portogallo il trend è rimasto lo stesso di quarant'anni fa.
Gøsta Esping-Andersen, direttore dell'unità di ricerca del DEMOSOC all'Università Pompeu Fabra di Bercellona, ha così parlato di "abisso italiano" in merito alla capacità della nostra società famigliare di cambiare tendenze. "Il contributo maschile alle attività domestiche – spiega il professore – è solo del 20 % in Italia. A differenza della Danimarca che ha un tasso pari al 42% e della Germania che raggiunge il 35%". Conseguentemente la natalità in Italia è ancora bassa con 1,3 bambini per famiglia, negli Stati Uniti e in Danimarca si raggiunge quota due bambini per famiglia.
Per spiegare questa grande inversione di rotta di alcuni paesi occidentali il professore Andersen ha evidenziato come il ruolo della donna nella società abbia avuto una fortissima influenza. Quarant'anni fa, infatti, le donne istruite erano quelle che riscontravano una vita matrimoniale poco soddisfacente, che andavano incontro a maggiori divorzi e che registravano un bassissimo tasso di natalità. Al contrario, la donna poco istruita che svolgeva prevalentemente un ruolo domestico, poteva vantare matrimoni duraturi e capaci di portare a nuclei famigliari ampi.
Insomma, maggiore istruzione voleva dire un minor tasso di natalità. Sorprendentemente però, ciò che sembrava ormai essere una catastrofica tendenza, ha virato in favore delle donne con un elevato tasso di istruzione. Per esempio "negli Stati Uniti – evidenzia Andersen – chi ha un basso livello di istruzione registra una percentuale di divorzi pari al 40%, al contrario di chi ha un alto livello di istruzione che ha solo il 20% di possibilità di andare in contro a una separazione". I paesi dell'area iberica però hanno ancora da mettere in atto questo cambiamento. È sufficiente guardare come rispondono le donne della Danimarca alla domanda "Non vuole dei figli?", nessuna ha risposto positivamente al contrario della Spagna, dove il 5% ha risposto "sì". Andersen però rivela un cambiamento positivo. Infatti, i nostri paesi non ridurranno la loro popolazione a un quarto di quella odierna. Sarà sufficiente apportare delle modifiche nei nostri comportamenti e attendere, quindi, che la rivoluzione femminile giunga al termine. Per questo il professore ha concluso il suo intervento parlando del ruolo che devono avere le istituzioni in una società: " È necessario apportare qualche accorgimento a favore della nuova famiglia. Una famiglia dove entrambi i genitori lavorano e che quindi hanno bisogno di strutture e provvedimenti di appoggio".

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