Giovedì, 31 Maggio 2012 - 02:00 Comunicato 1508

Per il sociologo norvegese, Nobel alternativoper la pace, bisogna ragionare su scala locale, puntando sul lavoro e sulla soddisfazione dei bisogni personali
L'ECONOMIA ECLETTICA E COLORATA DI GALTUNG

La filosofia di Johan Galtung rivolta come un calzino il pensiero economico diffuso. Con due concetti. "Bisogna tornare ad un'economia organizzata su scala locale, producendo non tanto per il mercato, ma per la soddisfazione dei bisogni personali". "Una buona economia – ha proseguito il Nobel alternativo per la pace – deve soddisfare due condizioni: i bisogni della natura e quelli degli esseri umani, puntando su terra, lavoro e capitale. Non lo fa di certo il capitalismo, che sta distruggendo la terra, generando disuguaglianza e violenza". E allora, qual è il modello per il futuro? "Non esiste una formula – ha concluso Galtung – ma le parole d'ordine devono essere eclettismo e lavorismo". Ma ha avvertito: "Se non si cambia il modello attuale, andremo incontro ad altre crisi. Siamo solo all'inizio, non alla fine di un processo di crisi".-

Carla Locatelli, prorettore dell'Università di Trento con delega alle relazioni internazionali e membro del Comitato scientifico del Centro di Formazione alla Solidarietà Internazionale della Provincia autonoma di Trento, ha introdotto il confronto con due quesiti forti: "possiamo fare a meno dell'utopia? Possiamo fare a meno di un mondo nel quale ci troviamo a nostro agio?". Domande esigenti, alle quali non è facile rispondere. Ci ha provato l'ospite illustre Johan Galtung, premio Nobel alternativo per la pace e rettore di Transcend Peace University. Camicia hawaiana, sorriso gentile e un "italiano-vichingo" – come lui stesso l'ha definito – comprensibilissimo, Galtung è partito subito mettendo al centro i pilastri del suo pensiero. "Un'economia buona deve rispettare tre principi: diversità, simbiosi e uguaglianza. Il capitalismo che conosciamo bene è esattamente il contrario poiché, attraverso la monetizzazione di tutto, fa sparire la diversità, rende i prodotti identici e, quindi, non ci sono né uguaglianza né simbiosi. Si crea una società sempre più squilibrata con un'enorme differenza tra ricchi e poveri. Una differenza che aumenta ed alimenta violenza di classe. Questa – ha proseguito Galtung – non è una vita degna e vanno cercate alternative. Che non possono essere né socialismo né capitalismo, ma eclettismo. Non c'è una formula semplice, ma ci sono due condizioni che vanno sempre soddisfatte: i bisogni della natura e quelli degli essere umani. E va riconosciuto il valore del lavoro ad ogni livello". Per Galtung, quindi, sbaglia chi dice che ci sono solo due "scuole di pensiero economico", ovvero capitalismo e socialismo. "Chi dice questo, conosce molto poco il mondo", taglia corto. Per lui le scuole economiche sono cinque. Ed è un'economia colorata: c'è una scuola rossa, una blu, un'altra verde, poi gialla e viola. Nessuna di queste è la soluzione, ma di certo vanno evitate le scuole "estreme", come quella rossa (socialista "che ha puntato tutto sul mercato e quando il mercato non ha funzionato è arrivata la crisi". Ma nemmeno quella blu (capitalista). Meglio quella gialla (capicomunista) o quella verde (localistica) e ancora meglio quella viola (socialdemocratica), perché "è una miscela che funziona". Poi è arrivato un altro appello: "Bisogna tornare all'economia reale, ad un'economia che porti a un consumo. Basta con l'economia finanziaria che è solamente vendere e comprare senza sosta e senza motivo. Questo ha generato una crisi che è solo all'inizio, non alla fine, anche perché nei posti di potere, in Europa, Italia, Grecia, Spagna, ci sono uomini che sono stati di Goldman Sachs...".
Nel suo ragionamento Galtung ha anche fatto riferimenti all'Italia e al Trentino. "Voglio fare i miei complimenti a Trento che ha messo in piedi un evento come questo nel quale ogni anno si può discutere sull'economia in modo costruttivo". Più duro il suo giudizio – sempre fatto di humour pungente e senza sconti per nessuno - con Roma e con i politici romani. "Vedo difficile un cambiamento partendo dalla Capitale – ha concluso – meglio vivere le comunità in tutte le parti d'Italia, come a Trento, per ricostruire un'economia reale su scala locale".

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