Domenica, 05 Giugno 2016 - 16:33 Comunicato 1238

In Italia manca uno spirito imprenditoriale di tipo manageriale

Paolo Guerrieri e Luigi Guiso hanno discusso sul libro di Flavia Faggioni e Sandro Trento (edizioni Il Mulino) “Imprenditori cercasi, innovare per riprendere a crescere”, un lavoro che si interroga su un problema antico, quello del grado di innovazione degli imprenditori italiani. Il tema è di estremo interesse e la chiave di lettura può essere la grande trasformazione in essere della ricchezza globale secondo due spinte, da un lato, il rinnovamento tecnologico, dall'altro la globalizzazione. Nel libro si sottolinea con molta efficacia, il ruolo del cambiamento tecnologico, la figura dell'imprenditore sempre più agente del cambiamento in atto. La domanda che lo studio si pone è come mai in Italia non si riesca a sfruttare i vantaggi competitivi e conoscitivi per trasformarli in idee imprenditoriali. Ciò che manca, non è chi fa nascere l'impresa, ma la capacità manageriale, chi pensa a come fare crescere le idee. Problema risolvibile ma dobbiamo insegnare agli imprenditori a diventare imprenditori manager.

Nel pomeriggio di oggi, per il ciclo Incontri con l'autore, presso la Sala Manzoni della Biblioteca Comunale di Trento, gli economisti Paolo Guerrieri e Luigi Guiso hanno discusso sul libro di Flavia Faggioni e Sandro Trento (edizioni Il Mulino) “Imprenditori cercasi, innovare per riprendere a crescere”. Tonia Mastrobuoni ha introdotto la presentazione di questo lavoro che si interroga su un problema antico, quello della intraprendenza del grado di innovazione degli imprenditori italiani. Il tema è di estremo interesse e la chiave di lettura può essere la grande trasformazione in atto della ricchezza globale secondo due spinte: da un lato, il rinnovamento tecnologico, dall'altro la globalizzazione.

Nel libro si sottolinea con molta efficacia, il ruolo del cambiamento tecnologico nei confronti della figura dell'imprenditore sempre più protagonista di questo cambiamento, che non è un aggiustamento a innovazioni incrementali, ma un fenomeno sconvolto dall'irruzione della comunicazione tecnologica che ha portato ad un nuovo paradigma di crescita dell'economia, ossia, sta cambiando il modo di produrre e di distribuire ricchezza.

Queste tecnologie, per le loro caratteristiche, hanno inaugurato nuovi settori, nuovi beni, ma in realtà l'apporto più importante proviene dal fatto che hanno un carattere pervasivo su tutto il resto del sistema produttivo. I Paesi che sanno adattarsi maggiormente a questo nuovo paradigma, crescono di più.

Sono ormai anni che si sta affermando e consolidando questo paradigma. Nel libro c'è una prima valutazione del tipo di risposta delle imprese italiane a queste opportunità da dove si evince che la risposta è stata tardiva, insufficiente, lenta e deludente. Non siamo riusciti a metterci in scia a queste trasformazioni, ma siamo rimasti ai margini. Lo vediamo nella dinamica della economia italiana che ristagna e non cresce se non a fatica per agganciarsi alla ripresa globale.

La domanda che il libro si pone è come mai in Italia non ci sono imprenditori che innovano e che stanno perdendo questo vantaggio competitivo, perché abbiamo imprenditori in ritardo, che sono diventati imitatori e lo fanno pure zoppicando. La risposta? Non riusciamo a sfruttare i vantaggi competitivi e conoscitivi di cui godiamo e non riusciamo a trasformarli in idee imprenditoriali. Ma cosa impedisce di utilizzare commercialmente le cose di cui abbiamo la conoscenza? Quello che manca non è l'imprenditore, chi fa nascere l'impresa, ma la capacità manageriale, chi pensa a come fare crescere le idee.

Altro aspetto. Gli imprenditori italiani non vogliono standardizzare, ma bisogna dire che la natura stessa dell'imprenditoria italiana è più vocata alla produzione di nicchia. Accanto a questo c'è un problema di esempi, dati dalle grandi imprese, ormai assenti in Italia e di formazione, da parte delle business school, realtà estranee nel contesto formativo italiano.

Come eliminare questo ostacolo? Non è la fantasia che manca, ma la capacità di dare scala all'idea e in un mercato globale questo conta. Alcune realtà riescono a dare scala a prodotti di nicchia, come ad esempio Eataly, ma è un'eccezione che conferma la regola.

Si tratta di un problema risolvibile ma dobbiamo formare gli imprenditori, insegnare loro a diventare imprenditori manager. L'imprenditoria del futuro non potrà che essere collettiva, dotata di capitale umano, competenze e innovazione tecnologica, e attitudine al rischio.



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