Sabato, 04 Giugno 2016 - 19:49 Comunicato 1213

Immigrazione: quello che la Spagna può insegnare

Dal 1991 al 2010 il numero di stranieri residenti in Spagna è aumentato quasi di 20 volte, passando da 350.000 a 6,3 milioni. Ma nonostante il tracollo dell’economia dopo la crisi, la disoccupazione e gli attentati del 2004, non esistono partiti xenofobi e nei sondaggi l’immigrazione non è mai citata come uno dei problemi principali, contrariamente a molti altri paesi dell’Ue. Quali sono le ragioni principali di questo successo? Ne ha parlato questa sera Juan J. Dolado, professore presso il Dipartimento di Economia dell’Istituto Universitario Europeo dal 2014 di Firenze e della Universidad Carlos III di Madrid, introdotto dalla giornalista Lucia Magi, che vive e lavora tra l’Italia e la Spagna.

Le ragioni sono da ricercarsi soprattutto in un passato politico e in un presente economico. È un dato di fatto che dopo la caduta della dittatura di Franco, non si è mai avuto una svolta decisiva, politicamente parlando, verso l’estremismo di destra, così come invece è capitato in altri paesi come ad esempio in Polonia, in Austria, Svizzera, Danimarca, Svezia. Nel passato della democrazia spagnola solo in un caso un partito di estrema destra “Fuerza Nueva”, nostalgico del Franchismo, ha guadagnato un seggio in Parlamento. E ancora, all’interno dei Paesi dell’OXE la Spagna figura come seconda scelta, dopo gli Stati Uniti, per i migranti (2010). Un’intensità di flusso migratorio, che può trovare similitudini ad esempio negli anni Ottanta con la massiccia emigrazione di masse popolari da Cuba a Miami oppure quello che è avvenuto in Israele dopo la caduta del muro di Berlino.

Certo, in Sagna si è avuta una impennata repentina e nell’arco di 10 anni un massiccio aumento di popolazione straniera. Si pensi che da 1 milione di stranieri nel 1998 si è passati a 5, 5 milioni di arrivi nel 2013. Cifre che si avvicinano alla situazione della Germania, che però è un Paese più ricco e che può offrire migliori opportunità. Altra curiosità, in Spagna nonostante la crisi economica, il numero di migranti è rimasto sostanzialmente identico.

Eccezionale è anche il fatto che, dopo l’attacco terroristico del 2004 a Madrid, in realtà non è cambiato l’atteggiamento degli spagnoli nei confronti degli immigrati, al contrario di Italia, Francia, Ungheria, dove la risposta è stata decisamente più negativa. Ciò è valido ancora oggi nel 2016, dove viene mantenuto un clima di accoglienza positiva. È evidente che gli immigrati hanno un contributo reale e concreto all’economia del Paese e come tale viene percepito dalla cittadinanza.

Da un punto di vista storico, la Spagna è sempre stata meta di immigrazione, soprattutto da popolazioni provenienti da altri Paesi della zona latina. Comunanza di linguaggio, arrivo in pieno boom economico, capacità di adattamento e spirito di solidarietà, sono i fattori che hanno fatto sì che il “sentiment” della popolazione non sia mai stato di totale chiusura nei confronti dell’immigrazione.

E con riferimento al mercato del lavoro, che è di natura duale (vuol dire cioè che è composto da una parte di posti protetti, dall’altra vige un mercato precario e incerto, le cui conseguenze si riflettono anche sulla crescita demografica del Paese e il calo della natalità) il flusso di migranti si è naturalmente inserito in quello spazio secondario, uno spiraglio di opportunità a fronte della ricerca di una manodopera non qualificata. Nonostante tutto non si è mai avuta, in Spagna, la percezione che l’immigrato, lo straniero, potesse “portare via” posti di lavoro. Forse perché la maggior parte del flusso migratorio è avvenuto in periodi di boom economico, passata la sofferenza e l’isolamento dovuto alla dittatura, e quando l’avvento di immigrati in numero cospicuo non faceva che alimentare il sistema economico e pensionistico, indirettamente a vantaggio di interi settori economici, su tutti quello dell’edilizia, in quanto gli stranieri necessitavano di nuovi alloggi. O forse perché la Spagna, così come il Portogallo, a causa della dittatura ha subito anni e anni di isolamento.

Qualunque siano le ragioni, è evidente che quello spagnolo (e similitudini ci sono anche in Portogallo) rappresenta un’eccezione a livello europeo.

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