Al voto europeo - come ha spiegato in apertura Nando Pagnoncelli - si è arrivati con un sentiment (atteggiamento, ndr.) dei cittadini comunitari sostanzialmente positivo verso l’Unione europea: i due fronti (favorevoli o contrari) se la giocano alla pari sulla fiducia verso l’Europa (l’Italia, per la verità, va controcorrente con il 55% di diffidenti e il 33% di favorevoli). Gli stessi elettori non hanno però dubbi sull’adesione alla Ue (62% di favorevoli) per arrivare al 75% di giudizi positivi sull’euro.
“La vera novità del voto europeo - spiega Cas Mudde, politologo olandese - è la frammentazione dell’elettorato, più del populismo. E a favore dell’establishment abbiamo solo quattro forze, mentre tutte le altre sono contrarie”. Mudde non sottovaluta però la percentuale di euroscettici: solo una decina di anni fa erano appena il 10%, oggi superano il 30%: “Il malcontento sta crescendo ma riguarda la gestione dell’Unione. Nessun partito ha parlato apertamente contro l’Unione europea, anche se purtroppo nessun partito ha presentato una propria visione dell’Europa. E questo è ciò che la gente”.
La visione di Mudde trova sostanzialmente d’accordo, Nadia Urbinati, membro dell’Institute for Advanced Study (Princeton) e professor di Teoria politica alla Columbia University: “Gli elettori chiedono un cambiamento o, meglio, un miglioramento. Anche da leader populisti come Le Pen e Salvini arriva una visione utilitaristica per risolvere problemi nazionali piuttosto che una posizione contraria”.
Chi ha dei dubbi sulla effettiva capacità della politica europea di rispondere ai cittadini con il cambiamento è Jean Pisani-Ferry, docente della Hertie School of Governance di Berlino. “L’affluenza alle urne - ha spiegato - è tornata a salire dopo quasi vent’anni di flessione. Gli elettori hanno capito la posta in gioco. Sebbene i popolari e socialisti abbiano perso 11 punti percentuali e saranno costretti ad allargare la maggioranza, temo che continueranno a dimostrare una certa inerzia nelle politiche future, con il rischio di scontro tra cittadini interessati al cambiamento e un’assemblea ancora ingessata”.
Un caso a parte è rappresentato dal Portogallo, la cui crisi e successiva rinascita è stata presentata da Elisa Ferreira, politica ed economista, vice governatrice della Banca del Portogallo. “Da noi non esistono partiti antisistemi - spiega - e questo è dovuta alla ricetta scelta dal Portogallo per uscire dalla crisi arrivata a seguito della crisi globale del 2008”. Negli anni successivi la Troika impose una ricetta molto dura senza fornire molte spiegazioni. “Questo causò la recessione in Portogallo - ricorda Ferreira -. Al rigore dettato dalla Troika, il centrosinistra rispose con una propria ricetta. Pur concordando sull’agenda macroeconomica, la coalizione utilizzò un mezzo diverso per raggiungerlo, meno pragmatico e più flessibile. Garantì un maggior supporto ai disoccupati e diede vita ad un pacchetto di misure ‘positive’ che non fecero sentire le persone punite E piano piano le cose sono andate a posto”.
I cittadini della Ue credono ancora nell’Europa, ora tocca alla politica rispondere con il cambiamento.
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