Venerdì, 01 Giugno 2012 - 02:00 Comunicato 1512

Ogni anno in più trascorso a casa dai genitori causa una perdita di capitale umano pari a circa quattro mesi di studi
INVESTIRE SUI GIOVANI: LA STRATEGIA ANTI-BAMBOCCIONI

Dito puntato sulla cultura tutta italiana, che legge l'allontanamento dalla casa dei genitori come un dramma. Ma anche sulle scelte politiche e sulla difficile condizione economica che pesano soprattutto sulle spalle dei giovani italiani. Per il demografo Francesco Billari, dati alla mano, i bamboccioni in Italia esistono davvero. Le conseguenze sono un alto costo sociale, uno sviluppo frenato e nuove fratture create da diseguali opportunità. La soluzione? Estendere con coraggio i diritti di partecipazione dei giovani alla vita pubblica e investire in formazione, importando le migliori pratiche dai Paesi nordici e dal mondo anglosassone.-

Da una discussa definizione dell'ex ministro Padoa Schioppa, a un fenomeno che è alla radice della deriva economica italiana: i "bamboccioni" conquistano l'attenzione del Festival dell'Economia di Trento, che dedica proprio a loro il primo degli incontri del ciclo "Parola chiave". Un fenomeno tipicamente italiano, quello dei giovani tra i 18 e i 34 anni che stentano a lasciare la casa dei genitori: sono ben oltre il 50%, una quota che assegna al nostro Paese un poco lusinghiero primato di immobilismo sociale.
Ma siamo davvero bamboccioni? "I dati confermano che purtroppo questo fenomeno esiste nel nostro Paese – ammette il professor Francesco Billari dell'Università Bocconi di Milano. I giovani sono pochi e mal utilizzati. Con circa 9,5 milioni di giovani (dati 2010), l'Italia è infatti il Paese con la minor popolazione giovanile del mondo. Le ragazze italiane escono da casa mediamente a 27 anni, in netto aumento rispetto ai 23 anni, età in cui si usciva negli anni ‘40. Il primo figlio oggi arriva a 32 anni, rispetto ai 25 degli anni '40. Una media che, in effetti, rileva una diversità italiana rispetto all'Europa, soprattutto rispetto ai Paesi nordici in cui l'uscita di casa avviene attorno ai 19-20 anni".
Ma di chi è la colpa? Dei giovani o del sistema? "Il fenomeno dipende sia dai fattori di spinta ad abbandonare il luogo di partenza, sia da quelli di attrazione, verso altre mete", ha commentato Billari. "La colpa è in parte da attribuire ad un substrato culturale: la naturale insofferenza degli italiani rispetto all'idea di partire; un'alta soddisfazione di chi co-risiede (soprattutto delle madri); una bassa mobilità territoriale e invece un'alta prossimità abitativa quando si lascia. Tuttavia incidono anche altri fattori di tipo economico e politico, come un mercato del lavoro segregato e un alto tasso di disoccupazione giovanile, la mancanza di abitazioni di affitto e la presenza di un sistema universitario che non incentiva la mobilità (la cosiddetta "università sotto casa"). La lunga transizione dei giovani ha un costo economico enorme per il nostro Paese e introduce una forte diseguaglianza nelle opportunità. Il problema alla base è lo scarso investimento in capitale umano. Si stima infatti che ogni anno in più trascorso a casa dai genitori causi una perdita di capitale umano pari a circa quattro mesi di studio in meno. Ma occuparsi dei giovani è fondamentale perché alcune cose si fanno efficacemente solo da giovani. Tra queste l'istruzione: o si investe in modo convinto sul lifelong learning oppure si deve puntare in modo più deciso e capillare alla formazione dei giovani".
Billari ha citato a questo proposito il caso della Corea del Sud, dove l'investimento in istruzione pianificato a partire dagli anni '70 si sta ripagando oggi con una popolazione quasi completamente scolarizzata. Una situazione che, invece, in Italia non si avvererà per la mancanza di investimenti fatti al momento giusto. Ma come funziona negli altri Paesi? "Nei Paesi nordici è alto il sostegno ai giovani con borse di studio e incentivi alla mobilità fino all'ingresso nel mondo del lavoro: un modello efficace ma piuttosto costoso – commenta Billari. Un altro modello, liberista, che funziona è quello anglosassone dove i giovani vengono incoraggiati ad uscire dalla casa dei genitori. È poi il mercato che, attraverso un sistema di prestiti e agevolazioni, seleziona il merito. Ma questa opzione però lascia aperte questioni di disuguaglianza sociale. Possiamo senz'altro prendere spunto da queste esperienze, ma anche agire su alcune anomalie tipiche del nostro Paese. In Italia, in termini di pieno godimento di tutti i diritti, ad esempio, si diventa davvero adulti a 40 anni. Pensiamo all'opportunità di candidarsi per il Senato. Ecco qualcosa su cui possiamo più velocemente intervenire. Anche perché questo tema, del resto, ha molto che vedere anche con l'immagine stessa del nostro Paese".

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