Venerdì, 15 Giugno 2012 - 02:00 Comunicato 1791

Stamane alle 9 alla Fondazione Kessler a Trento in Via Santa Croce
"IN MONTAGNA ALLA RICERCA DI SE' ", INIZIATO IL IX' FORUM DELL'INFORMAZIONE CATTOLICA

Ieri sera la cerimonia di inaugurazione - con gli interventi dell'assessore all'urbanistica, enti locali e personale Mauro Gilmozzi, del presidente di Greenaccord Alfonso Cauteruccio, del vicepresidente deI Consiglio Regionale Marco Depaoli, del direttore di Vita Trentina Marco Zeni, dell'assessore all'ambiente del Comune di Trento Michelangelo Marchesi e del responsabile dell'Ufficio stampa del Club Alpino Italiano Luca Calzolari - si è conclusa con i canti del Coro "SOSAT" presentato dal suo presidente Andra Zanotti. Molte le persone che vi hanno preso parte, in particolare diverse colleghe e colleghi della stampa nazionale e locale. Stamane alle 9, presso la Sala Conferenze della Fondazione Kessler a Trento in via Santa Croce, sono iniziati i lavori che si concluderanno nella tarda mattina di domenica 17 giugno. La sessione della prima mattina è stata ricca di spunti di riflessione soprattutto in merito ai "segni del sacro nel territorio dolomitico" con le analisi di Enrico Ferrari (che ha posto l'accento sulla necessità di ripensare ad un urbanistica che dia dignità agli spazi del sacro) e Ugo Morelli (che ha evidenziato come sia necessaria la consapevolezza della specie umana come parte di un tutto - anziché come predominante sul tutto - e come sia fondamentale considerare la responsabilità umana e la dimensione della finitudine). Il biblista Piero Rattin ha posto all'attenzione con significativi esempi l'importanza della montagna nell'esperienza biblica. Annibale Salsa ha posto l'accento sul lavoro e la qualità della vita in montagna, mentre Paolo Castelnovi ha parlato della "cura della montagna: dal paesaggio agli usi civici". La sessione pomeridiana "la montagna che scioglie e si scioglie" vedrà, fra gli altri, gli interventi di Francesco Petretti, Carlo Baroni, Marcella Morandini e Sergio Martini.-

La sessione mattutina del IX' Forum dell'Informazione cattolica si è aperta con il saluto di don Rodolfo Pizzolli, Direttore Ufficio Pastorale Sociale Ambiente e Turismo dell'Arcidiocesi di Trento. A prendere la parola è poi stato il biblista don Piero Rattin con l'intervento "La montagna nell'esperienza biblica". "Il cosmo è ricco di una componente simbolica, non solo di ciò che è spiegato scientificamente. - ha detto in premessa - Differisce profondamente dalla parola caos (il biblista fa notare che da cosmo deriva anche la parola cosmetica - qualcosa di bello). "Solo il monte sembra offrire lo scenario perfetto per il colloquio con Dio" ha osservato Pietro Rattin. È lo scenario per l'abbandono del mondo e la salita verso il divino. Basta ripercorrere la Bibbia e i Vangeli per notare che molti dei più importanti passi hanno la montagna come contesto e spesso come co-protagonista. Il Monte Nebo, sul quale il profeta Mosé ebbe la visione della Terra Promessa che Dio aveva destinato al suo popolo. Il Monte Oreb (o Sinai) sul quale ricevette le tavole della Legge e che servì a un altro profeta, Elia, per sfuggire a un grande smarrimento e sul quale Dio si rivelò a lui. Il Monte Tabor, sul quale avvenne la trasfigurazione di Gesù "Il monte è spesso, anche per Gesù, il luogo ideale per pregare. Mi piace ricordare - ha aggiunto il biblista Rattin - che nella nostra Diocesi il 6 agosto, festa della Trasfigurazione, si organizzano le camminate in montagna. Non è un caso ". Rattin ha poi ricordato "il monte Golgota, teatro della Passione di Gesù". Persino il piccolo colle di pochi metri su cui Cristo salì per pronunciare forse il suo sermone più famoso è ricordato come "discorso della montagna". "Il monte è lo scenario ideale di un'utopia mai spenta - ha proseguito Rattin - Un segno del messaggio di pace della religione cristiana: far convergere tutti i popoli in una convivenza finalmente armoniosa. Il progetto di pace è un cammino in salita perché arduo e difficoltoso. Ma solo alla fine di quel percorso in salita ci sarà il ristoro di Dio. Solo a quell'altezza gli uomini si ritroveranno fratelli".
Ha poi preso la parola Enrico Ferrari, architetto del Paesaggio, fondatore di Arte Sella di cui è stato il primo presidente, e Ugo Morelli, presidente del Comitato scientifico di Step, la Scuola per il governo del territorio e del paesaggio, docente di psicologia del lavoro e della creatività presso le Università Ca' Foscari di Venezia e degli Studi di Bergamo.
Enrico Ferrari ha illustrato con immagini efficaci il suo punto di vista riguardo al tema dell'intervento "I segni del sacro nel territorio dolomitico" di cui è stato co-relatore con Ugo Morelli.
L'architetto del Paesaggio Ferrari ha posto l'accento sul fatto che l'edificio chiesa, costituisce nel paesaggio dolomitico, la centralità di tutto il paesaggio (ha mostrato le immagini di un paese alpino con al centro l'edificio sacro e una seconda immagine ritoccata senza la chiesa). "Ora però - ha detto - i pianificatori spesso non ne tengono conto e ciò porta conseguenze importanti sulla centralità del sacro nelle comunità. La chiesa ha perso il ruolo di predominanza, di sacralità, è diventato un elemento qualunque nel paesaggio. i rapporti, nel paesaggio, sono molto falsati". Ferrari ha posto evidenza anche sulla viabilità che, spesso, "è stata tracciata ignorando l'edificio chiesa e portando l'edificio sacro ad una situazione di debolezza, compromettendo notevolmente la sacralità del territorio. Il reticolo del sacro nel territorio dolomitico era molto importante, ora è stato fortemente alterato in molti luoghi. Solo in qualche parte è rimasto integro. L'urbanistica ha dato pochissima importanza ai luoghi del sacro, ha agito per aggiunta e ha operato prescindendo dalla centralità del sacro nelle comunità. Per un restauro del paesaggio, per una sua riqualificazione bisogna ora partire dal segno del sacro: sono necessarie azioni a breve termine (qui in Trentino), ridando dignità agli spazi intorno agli edifici sacri, per esempio". Per Enrico Ferrari "ridare dignità al luogo sacro" è di fondamentale importanza.
Ugo Morelli ha declinato la sua relazione ponendo l'accento sul rapporto uomo-natura. "Come stiamo costruendo il paesaggio planetario di cui facciamo parte e come agisce l'uomo in questo pianeta"? si è chiesto Ugo Morelli. "L'accesso al reale per gli esseri umani (che sono esseri simbolici) al paesaggio e alla natura arrivano attraverso il senso che li attribuiamo". E' questa, secondo Morelli, la prima questione che va messa al centro del ragionamento. "Il Paesaggio è come la lingua madre: esige da noi che ne acquisiamo consapevolezza.
"Il secondo punto (il primo è: noi trasformiamo comunque il paesaggio) è la consapevolezza che noi abbiamo della nostra opera di trasformazione. Al centro di tutto questo c'è la vivibilità: per ora è stata una vivibilità contro la natura per la maggior parte del tempo della storia dell'uomo. Le nuove generazioni si misurano con questa realtà e hanno l'impegno di deporre la primazia presunta della specie umana: dobbiamo riconoscere che siamo parte del tutto. Altrimenti esisterà un futuro per il pianeta Terra senza la presenza umana. Il terzo punto diventa: a quale condizione questa crisi è affrontabile? Cambiando idea: se per noi essere umani avere un'idea è dificile, cambiare idea è una cosa molto difficile. La difficoltà di avere una visione d'insieme, viene sempre dopo che le azioni sono compiuti. Siamo fatti soprattutto per fare. La discontinuità ci inquieta, il disagio del cambiamento per la specie umano è sempre profondo". Secondo Morelli è necessario fare una serie di riflessioni: bisogna ritrovare "una sacra unità uomo-natura", è importante riconoscere "l'etica della prassi e l'estetica del presente, perchè siamo parte del tutto" e dobbiamo cominciare a considerare "la finitudine come condizione della vivibilità". Per lo studioso Morelli "non abbiamo bisogno di perpetuare la tradizione, abbiamo bisogno di cambiare: così è per il paesaggio. I paesaggi della nostra vita sono i paesaggi ordinari, non quelli straordinari". Soffermandosi sul verbo "conservare", Morelli ha evidenziato che "indica orientamenti e azioni che si dovrebbero sottoporre a una critica approfondita, certo, l'immagine evocata dalla conservazione è rassicurante". Ha poi sottolineato quanto sia centrale la responsabilità umana e quanto questo condizioni le scelte. "E' necessario - ha detto - riconoscere la finitudine come possibilità della vita, investire sulla cultura della finitudine, considerarla come nuovo inizio, come condizione della pienezza. E' indispensabile riconoscere la bellezza come la fragilità del bene. La cultura odierna produce invidia, non vediamo i nostri limiti e la nostra cultura non riesce a generare sodalità e quindi gratitudine e questo è un grande problema culturale. Se il sacro è il frutto di una nostra condizione della nostra specie, abbiamo bisogna di ricostruire i miti, le narrazioni con cui ci siamo descritti. Abbiamo bisogno di vederci dall'alto, per vederci parte del tutto: potrebbe essere l'inizio di un nuovo tempo e ciò sarebbe possibile solo se ci rendessimo conto che siamo passeggero di questo nostro paesaggio. Il paesaggio - ha aggiunto - da spazio e forma della vivibilità che emerge, a punto di connessione tra mondo interno e mondo esterno, attraverso la mediazione dei principi di movimento e di immaginazione: abbiamo bisogno di re-immaginare. Di 'cambiare leggenda' sul rapporto tra uomo e territorio, uscire dalla vivibilità contrapposta. Quale è l'elemento di prospettiva, il punto d'appoggio per la nostra responsabilità? Siamo esseri neuroplastici (lo è il nostro cervello): questo però esige che ci rendiamo conto che siamo esseri appartenenti a un tutto. Il paesaggio che abbiamo parla di noi: siamo noi ad averlo fatto così e ci invocano a divenire responsabili".
Prendendo la parola l'antropologo Annibale Salsa, presidente del Comitato scientifico dell'Accademia per la Montagna, ha posto l'attenzione sul fatto che la montagna si presta ad essere enfatizzata. "Solo gli abitanti delle 'terre alte' non si prestano a questo. Ma la rappresentazione della montagna è spesso idealizzata fino al punto da escludere, ignorare, dimenticare la montagna vissuta, quella dei suoi abitanti". Tre sono, per Annibale salsa le sindromi della montagna: "la sindrome di Icaro (quella di salire ma senza tenere conto del limite) ci suggerisce che la montagna rappresenta sempre il limite con cui dobbiamo confrontarci: la montagna può essere maestra di vita, ci ricorda il limite della condizione umana. La montagna intesa come luogo dell'abitare risponda alla sindrome di Anchise, delle popolazione che hanno dovuto lasciare 'le terre alte' facendosi carico degli anziani, per esempio.Abbiamo assistito al dramma dell'abbandono. E poi c'è la sindrome di Serse: che maledice la natura. La montagna matrigna: un luogo profondamente ambivalente. Un'ambivalenza che si gioca fra l'attrazione e la repulsione accompagnata dalla paura e da una cultura della rinuncia (che ha cominciato a toccare le società moderne). La montagna comincia ad essere descritta e rappresentata come luogo della marginalità. Si imputa alla geografia fisica il fatto che le 'terre alte' siano marginali. La montagna (in certe zone) genera marginalità (non è il caso del Trentino, dove l'abitante delle valli non si sente un cittadino di serie B). Il rischio è di finire in un dualismo pericoloso e che divide: da un lato la montagna intesa come luogo di pura evasione, di spazio ludico e basta che genera poi l'inselvatichimento, dall'altra il luogo di vita, di lavoro per le persone che vi vivono". In questo dualismo, secondo l'antropologo Salsa, si giocherà il futuro della montagna. "I piccoli comuni rappresentano il fulcro della montagna" - ha detto l'antropologo che ha posto l'attenzione sull'importanza della buona politica per la montagna e ha tracciato la storia (delle scelte politiche) di quanto fatto finora nelle Alpi. "La montagna non deve essere un problema, deve essere una risorsa. La montagna oggi non prevede più il dualismo centro-periferia. Ma per capire questi processi occorrono antenne nuove. Ma le logiche dominanti non sembrano orientate a questo" Salsa ha detto chiaramente che "le azioni di supporto, di sostegno che le politiche dovrebbero mettere in atto in questo senso non ci sono", la logica dominante sembra non captare le vere esigenze della montagna. Eppure "ci sono le condizioni perchè ciò possa avvenire" .
Ultimo a intervenire Paolo Castelnovi che ha parlato dell'importanza degli usi civici (nelle sfide che sono state assegnate alle comunità hanno avuto a disposizione ampi territori senza padrone che si sono tramutati nella loro risorsa per vivere). Sul termine, Castelnovi, ha invitato alla riflessione sui due significati di "uso" e "civico": il primo termine ci parla dell'uso della terra e di come usarla e poi c'è il termine 'civico' che ha l'etimologia in civitas (civiltà). Una concezione che parla di un patto che l'uomo ha fatto con il proprio territorio (molto civilmente) e che hanno determinato dei modi di comportamento utili e rispettosi dell'uomo nei confronti della natura. "Noi, però - ha detto Castelnovi -, abbiamo di fronte dei cambiamenti epocali che ci hanno indotto a rompere la continuità economica di questo patto: l'agricoltura, in generale, ha perso il suo carattere di sistema primario di produzione, l'agricoltura di montagna (particolarmente faticosa) è stata una delle prime a cedere. La crisi è una crisi epocale: perchè la crisi dell'agricoltura fa perdere importanza all'agricoltura, di montagna e non, e quindi crisi dell'importanza della montagna. In generale, assistiamo alla rottura di un patto con la natura che teneva dentro di sè la sua riproducibilità". Castelnovi ha continuato dicendo che "nell'abitare abbiamo perso il senso con ciò che ci circonda" perchè il nostro spazio abitativo è molto più vasto e i luoghi del nostro abitare sono molti di più: quelli dove abbiamo la casa, quelli dove lavoriamo, quelli dove vorremmo andare. Paolo Castelnovi ha poi ragionato sul "paesaggio come processo collettivo, processo culturale" e ha sottolineato l'importanza del prendersi la responsabilità, di agire secondo un senso alto di responsabilità. (fs) -