Domenica, 01 Giugno 2014 - 02:00 Comunicato 1335

IL PUBBLICO NELL'ECONOMIA CONVINCE SOLO SE LO STATO È PRESENTE. ANZI NO!

Due scuole di pensiero – talvolta convergenti, molto più spesso divergenti – discutono al Festival Economia 2014 di Trento sulla presenza dello Stato nel sistema economico ("A guida pubblica o privata?", il titolo del Dialogo di oggi). Da una parte, il senatore Massimo Mucchetti (già giornalista de L'Espresso e Corsera, oggi alla guida della Commissione industria commercio e turismo del Senato) e il professor Luigi Zingales, economista e professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business: il primo promuove uno Stato forte nelle scelte strategiche e attento alle nomine ("Misuriamo i manager pubblici sui risultati"), il secondo ferocemente contrario ad ogni ingerenza ("Per ripartire, al mercato serve solo il taglio delle tasse e l'applicazione certa della legge). In mezzo, il sistema Italia con le sue spinte in avanti (riforme) e le amnesie (recenti nomine dei grandi gruppi pubblici). Su una questione i due relatori concordano: "Il Governo italiano deve pretendere che i propri manager pubblici rendano conto delle scelte e del proprio operato. Il passato, anche prossimo, del Pubblico in economia non può essere il futuro del sistema Italia".-

Comunque la si voglia mettere - pubblico sì, pubblico no - il Governo italiano deve fare la sua parte: vigilare, anzi guidare il sistema economico e le imprese pubbliche che oggi operano sui mercati. "Non è pensabile - per citare il professor Luigi Zingales - che in Italia la legge non venga applicata. Negli Stati Uniti i corruttori vanno in galere e ci restano per anni, qui in Italia li mandano ai servizi sociali una volta alla settimana". Il riferimento è voluto e dal pubblico scatta l'applauso. Così come quando il professor si dice d'accordo con il presidente di Confindustria: "Gli industriali devono mettere fuori i corruttori dalla loro associazione". Il professor italiano con cattedra americana non lascia nulla di indefinito e la sua ricetta per il rilancio dell'Italia è tanto semplice quanto drastica: "Il Mercato non ha bisogno di sussidi ma unicamente della riduzione della pressione fiscale e della certezza della legge. Tutto questo in Italia manca e quindi la ripresa si prospetta molto difficile".
Vicino di scranno ma distante nell'approccio alla questione è il senatore Massimo Mucchetti, noto al grande pubblico per i suoi libri e gli editoriali di economia sul Corsera e L'Espresso. Il presidente della commissione industria, commercio e turismo del Senato parte con l'apparente "provocazione" (che in definitiva non è) di "rimpiangere l'Iri", holding pubblica che segnò la vita economica italiana della seconda metà del secolo scorso e "deliberatamente" liquidata dalla politica. Il rapporto patrimonio e debito ero lo stesso di altri quattro gruppi, in aiuto dei quali lo Stato e il sistema economico, bancario e finanziario intervennero per rimediare allo stato di difficoltà: Fiat, Fininvest, Montedison e Gruppo Ferruzzi. "La liquidazione Iri produsse un disavanzo di 20 miliardi di euro, a conferma che la holding non era così disastrata come vollero farci credere".
Lo stesso rischio - a giudizio di Mucchetti - l'Italia lo corre con l'Ila di Taranto, polo produttivo avanzato dell'acciaio: "Otto mesi per smarcare il piano ambientale sono un'enormità. Nel caso dell'Ila la decisione andava presa in 8 giorni. Il Governo deve capire che l'Ila è un'ottima azienda, non è decotta, e deve intervenire con i tempi e gli interventi necessari così da costituire un benchmark a livello europeo. Solo rilanciando la produzione dell'acciaio a Taranto troveremo, ad esempio, i fondi necessari alla bonifica che, altrimenti, pagherà Pantalone".
Il riferimento serve a Mucchetti per rilanciare la necessità di una presenza forte dello Stato e del Governo in economia e per sostenere la sua tesi il senatore cita altri due esempi dei giorni nostri: "La Germania ha violato per due volte le leggi europee sulla concorrenza finanziando per 48 miliardi di euro le banche tedesche per coprire i loro investimenti in Grecia e sui titoli subprime americani. L'Italia, sbagliando, non fece alcuna osservazione e così oggi ci ritroviamo le banche tedesche ancora più forti, mentre il Governo nostro è intervenuto con soli 6 miliardi, soprattutto per il caso del Mps".
Mucchetti critica ancora il Governo (Renzi) per le recenti nomine dei grandi gruppi pubblici: "Si è deciso per un giro generale di nomine, senza valutarne sostanzialmente l'operato, ma le nomine devono seguire la strategia economica, l'indirizzo che il Governo italiano non dà da anni alle stesse aziende". E cita lo studio compiuto dalla commissione che lui presiede su quattro importanti realtà: Eni, Enel, Terna e Finmeccanica.
Zingales e Mucchetti concordano almeno sulla necessità che i manager pubblici rendicontino il loro operato ma anche in questo caso l'Italia sembra ancora lontana dall'obiettivo: "In questa situazione appare difficile pensare alla ripresa economica con il Pubblico ancora distratto e incapace di affrontare il mercato con le strategie e le scelte necessarie", conclude Zingales.
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