Vediamo innanzitutto la povertà, rimandando per il dettaglio all'annuario statistico dell'Ispat, relativo al 2015, pubblicato in rete proprio stamani.
Come detto, l'indicatore "popolazione a rischio povertà o esclusione sociale", usato a livello europeo, nel 2015 individua una percentuale di trentini "a rischio" pari al 15,8%. Se si scompone l'indicatore - che tiene conto di condizioni diverse - la percentuale si abbassa ulteriormente: solo il 10,2% della popolazione è in senso stretto a rischio povertà (la soglia di reddito nel 2015 è pari a 9.508 euro annui); il 5,1% vive in una situazione di grave deprivazione materiale (calcolata su voci diverse, come ad esempio essere in arretrato nel pagamento del canone di affitto o il non potersi permettere una vacanza di una settimana) ed il 5,2% infine vive in famiglie con intensità lavorativa molto bassa.
Certo, nel lungo periodo di crisi questa quota di popolazione è aumentata anche in Trentino, passando dal 7,5% del 2007 al 15,8% del 2015 (con un picco raggiunto nel 2012, pari al 19,2%). Ma nello stesso anno in Italia l'indicatore è pari al 28,7%. Valore migliore ma chiaramente superiore a quello del Trentino anche per l’Europa a 28 stati (23,7%). Confrontando il Trentino con i paesi nordici, tradizionalmente noti per l’elevato welfare, si rileva inoltre l’ottima posizione della provincia di Trento. La quota di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è pari al 15,0% in Norvegia, al 16,0% in Svezia, al 16,8% in Finlandia e al 17,7% in Danimarca. Altri Paesi noti per il loro benessere si posizionano per tale indicatore sopra il Trentino: la Germania al 20,0%, la Francia al 17,7% e la Austria al 18,3%.
Venendo ai lavoratori vulnerabili: anche qui, il dato di circa 60.000 unità è sicuramente in eccesso. In primo luogo, dire che tutti gli iscritti alle liste dei disoccupati e tutti i lavoratori in cassa integrazione siano vulnerabili è una generalizzazione eccessiva. Le persone si iscrivono al centro per l’impiego quando sono in cerca di lavoro o hanno perso il lavoro, anche se hanno l’aspettativa di trovarne uno in breve tempo, e questo per godere di una serie di benefici, in primis l’indennità di disoccupazione e l’accesso alle politiche attive. Anche i lavoratori stagionali, per esempio, tra un periodo e l’altro di lavoro si iscrivono al centro per l’impiego, ma sembra azzardato considerarli tutti persone vulnerabili. Per quanto riguarda i dati, comunque, al 30 settembre 2016 gli iscritti ai CPI sono 38.498, in calo di 1.787 unità rispetto allo stessa data dell’anno precedente.
Va poi poi considerato che 12.200 disoccupati provengono dai settori agricolo e turismo per cui, nella maggior parte dei casi, lavoreranno alla ripresa della stagione. Questi lavoratori rappresentano quasi il 40% (37.4%) dei 32.600 iscritti come disoccupati (che quindi prima lavoravano).
Un ragionamento a parte infine va dedicato ai lavoratori in cassa integrazione. Anche in questo caso, il dato diffuso e relativo al 2014 - 6 milioni di ore corrispondenti a 15.478 lavoratori - non è del tutto appropriato per valutare la vulnerabilità delle persone. Il dato del 2016 (gennaio /novembre), è infatti di 2.828.240 ore concesse (corrispondente a 1.436 lavoratori equivalenti), in deciso miglioramento rispetto allo stesso periodo del 2015 (5.357.819 per 2.720 lavoratori equivalenti).