Lunedì, 01 Giugno 2015 - 02:00 Comunicato 1368

Linda Laura Sabbadini in "Confronti" ha parlato della mobilità sociale femminile
"I CARICHI DI CURA SONO UN MACIGNO SULLE SPALLE DELLE DONNE"

È un'analisi impietosa quella tracciata da Linda Laura Sabbadini, direttrice del dipartimento per le statistiche sociali dell'Istat, oggi nell'appuntamento di "Confronti", promosso dall'Alleanza Regionale per le Pari Opportunità; con lei anche Ugo Morelli, professore di Psicologia all'Università di Bergamo, e Francesca Gennai, ricercatrice della Fondazione Demarchi, che ha chiesto alla direttrice Sabbadini di parlare proprio della mobilità femminile: "Sappiamo - esordisce Sabbadini - che le donne hanno un profilo di mobilità sociale diverso dagli uomini, peggiore. Entrano meno e più tardi nel mercato del lavoro, hanno un tasso di occupazione più basso e, anche a parità di istruzione, progrediscono meno in carriera, inoltre interrompono di più il lavoro in concomitanza con la nascita dei figli, sono più precarie e fanno più part-time. Tutto questo naturalmente incide sui loro percorsi di carriera. Infine sono sovra-istruite rispetto al tipo di occupazione, ovvero pur investendo di più in formazione e in cultura, e pur avendo risultati migliori in tutto il loro percorso scolastico, sono però caratterizzate da un forte sotto utilizzo del capitale umano che hanno maturato nel corso della vita, questo perché il loro percorso di carriera è molto più immobile di quello degli uomini".-

Quella delle donne è quindi una carriera molto più immobile: "Il 44% delle donne ha dovuto fare rinunce lavorative - commenta la direttrice del dipartimento Istat - contro il 19% degli uomini, a causa di impegni e responsabilità familiari. Fra i motivi principali per cui le donne hanno rinunciato ad entrare nel lavoro vi sono ovviamente la maternità e il dover farsi carico della cura dei figli e dei familiari". Di più: "Sono il 26% le donne che devono interrompere il lavoro per gli stessi motivi, mentre per gli uomini la percentuale è quasi del tutto assente, e il 20% delle donne contro l'8% degli uomini ha dovuto rinunciare a un particolare incarico che avrebbe voluto accettare. Infine, sotto il profilo della discriminazione, sono le donne a subire discriminazione di genere, mentre per gli uomini le cause sono di natura diversa: sindacale, politica, razziale".
La crisi ha poi ha scombinato il quadro: "Dal 2008 ad oggi vi sono stati 875.000 occupati in meno, ma gli uomini sono stati più colpiti delle donne, questo perché i settori maggiormente toccati dalla crisi sono stati quelli tradizionalmente a maggiore occupazione maschile, come l'edilizia, mentre le donne sono per lo più inserite nel settore dei servizi". Vi sono poi altri fattori che hanno influito sulla tenuta dell'occupazione femminile: "Si è elevata l'età pensionabile delle donne - spiega Sabbadini - ci sono più donne occupate sopra i 50 anni, vi sono più immigrate occupate nei servizi alle famiglie, inoltre, un fattore che ha toccato il Sud Italia, a fronte della perdita di lavoro dei mariti/compagni, molte donne con stato sociale basso sono entrate nel mondo del lavoro diventando capo famiglia".
Ma anche se l'occupazione femminile ha tenuto durante la crisi, le donne hanno dovuto pagare un prezzo elevato: "Sono aumentati i part-time involontari, sono diminuite le professioni tecniche e aumentate quelle non qualificate come i lavori domestici, è aumentata la sovra-istruzione delle donne rispetto al loro posto di lavoro. Infine la conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro è peggiorata".
Sulla conciliazione poi Linda Laura Sabbadini ha aperto un'ampia parentesi: "Il problema della cura familiare rimane in Italia un tema privato, che riguarda principalmente le donne. I servizi sociali continuano ad essere scarsi, hanno smesso di crescere e spesso sono anche troppo costosi, soprattutto nel caso dei nidi, non alla portata di tutti e maldistribuiti. In Trentino siamo in una zona di eccellenza, ma ci sono luoghi, come nel sud del paese, dove la situazione è critica". I servizi sociali hanno smesso di crescere anche in seguito alle misure messe in atto per contenere la crisi, e la divisione dei ruoli nella coppia continua ad essere rigida e a modificarsi molto lentamente: "Non vi è simmetria dei ruoli nella famiglia: sono per il 70% le donne ad occuparsi della cura familiare, nel 1989 questo dato era all'80%, ma la diminuzione è dovuta più per effetto dell'azione delle donne, che hanno tagliato il tempo da dedicare al lavoro domestico e non quello alla cura dei figli, che per effetto dell'azione degli uomini". Vi sono alcune eccezioni, come "i padri laureati con figli piccoli, insegnanti o impiegati, che hanno orari che permettono flessibilità, in questi casi emerge una nuova paternità".
Non sono incoraggianti le conclusioni di Sabbadini: "Sta entrando in crisi la catena di solidarietà femminile su cui si era basata la sopravvivenza stessa delle donne che lavorano, sia le madri che le nonne vivono un forte aggravio nell'aiutarsi reciprocamente. Questo perché le nonne lavorano di più, dovranno in prospettiva lavorare più a lungo e, in parallelo, hanno nipoti da accudire e genitori anziani. Inoltre il calo della fertilità fa sì che le nonne abbiano meno sorelle con cui condividere i carichi e spesso figli adulti in casa".
In sostanza sta entrando in crisi la "catena di solidarietà femminile su cui per decenni il nostro Paese si è basato, il vero pilastro fondamentale del welfare italiano, visto che in Italia abbiamo introdotto politiche di conciliazione con molto ritardo, solo ad inizio 2000". La distribuzione dei carichi di cura è "un macigno sulle spalle delle donne", anche perché vanno tenuti conto i radicati "stereotipi di genere", dentro i quali la società italiana è ingabbiata.
Ed è proprio a partire da queste ultime considerazioni che Ugo Morelli ha spostato l'attenzione sull'importanza delle differenze di genere, che ci aiutano a vedere il mondo in modo diverso, cercando di approfondire quale è il costo che la società paga per l'immobilismo lavorativo delle donne. Morelli ha quindi spiegato che, nella società attuale, vi è una "generale crisi della forma maschile, ovvero noi uomini non riusciamo a sostituire la forma patriarcale con nulla, stiamo arrancando". E se le strategie per superare le differenze di genere devono essere messe in campo soprattutto dalla parte politica, non si può parlare di sesso, che è il risultato di un processo genetico, e di genere, che è figlio dei processi educativi, senza parlare di codice affettivo: "Questo codice - sono le conclusioni di Morelli - è come il pin del cellulare, è la via attraverso la quale accediamo all'altro e rappresenta il motore per affrontare le differenze di genere". -



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