
È noto che una piccola percentuale di popolazione detiene la maggior parte della ricchezza disponibile e questo apre una serie di interrogativi su come sostenere chi non raggiunge i livelli minimi di reddito e si trova sotto la soglia di povertà. Le forme di sostegno per chi non ha redditi o per chi li ha insufficienti sono una scelta indispensabile in una società più equa, ma le modalità con cui questi programmi si applicano hanno molte importanti variabili. Per non incorrere in troppo onerosi impegni da parte dello Stato è necessario progettare attentamente le politiche. Un esempio è stato portato da Boeri proprio per l'Italia: un reddito universale di base sarebbe improponibile per il nostro Paese: se anche pensassimo a 500 euro mensili per una popolazione di 50 milioni di individui - e cioè tutti gli adulti - si raggiungerebbe una spesa che sfiora il 20% del PIL. Quindi, come ha proposto Hoynes, è necessario tenere conto di come tutelare le persone e ridurre le distorsioni che si potrebbero generare, rendere il sostegno un incoraggiamento a lavorare, tenere presente non solo il singolo, ma il nucleo familiare. In Italia, come osserva la Hoynes il reddito di cittadinanza è piuttosto una forma di welfare, ma apre l'interrogativo se si tratti davvero di un progresso verso la protezione sociale. I suoi limiti vanno dal fatto che si tratta di un sostegno a termine, che non prevede la necessità di un reddito minimo sussistente, che è troppo oneroso dal punto di vista burocratico e può scoraggiare chi tenta di entrare nel mondo del lavoro. La proposta della studiosa americana sarebbe piuttosto quella di aggiungere un supporto per chi già lavora con un basso salario e adeguare il sussidio alla composizione del nucleo familiare e ai costi della vita, che sono molto differenti nelle diverse Regioni italiane. Questo anche per non creare presupposti per l'incremento del lavoro non regolare e piuttosto offrire opportunità di qualificazione, per combattere meglio la povertà.