Una prima spiegazione del successo del populismo-sovranismo ha a che vedere con la crescente vulnerabilità ai cambiamenti tecnologici e alla globalizzazione di ampi strati della popolazione, acuita durante la Grande Recessione. Questa vulnerabilità ha alimentato una forte domanda di protezione sociale, di recupero di sovranità nazionale e di chiusura delle frontiere di fronte all’arrivo di beni prodotti in altri paesi o di immigrati. Questo spiega perché populismo e sovranismo siano spesso sinonimi. Tuttavia una lettura strettamente economica dei cambiamenti intervenuti nelle democrazie occidentali non riesce a spiegare perché il populismo ha avuto successo in paesi che hanno conosciuto poche e brevi crisi negli ultimi 10 anni, come la Svizzera e la Polonia, mentre non ha attecchito in Irlanda o in Portogallo, dove la crisi è stata profonda e duratura.
Un secondo ingrediente del successo di questi movimenti è probabilmente legato alla sfiducia nei confronti delle rappresentanze tradizionali. Una quota crescente di cittadini non ha più fiducia nelle classi dirigenti e si rivolge a una offerta politica alternativa, caratterizzata da una radicale carica antisistema.
Come cambiano, se cambiano, le politiche economiche in questo nuovo quadro d’insieme? Spesso le ricette sovraniste si scontrano con le necessità di bilancio, con la realtà dei mercati, coi trattati internazionali. Come fanno i governi sovranisti a risolvere questi nodi? Quali paradigmi economici vengono messi in discussione? Quali le possibili alternative?
Nella prossima edizione del Festival, economisti, scienziati politici, storici e studiosi di varie discipline rifletteranno insieme a operatori e rappresentanti politici e istituzionali su queste interazioni fra conflitto politico e conflitto economico, come sempre guardando al di là del caso italiano e ponendo l’attenzione sui cambiamenti rilevanti nella politica economica americana e sulle incertezze dell'unificazione economica e politica europea.