
A dialogare con Erico Brizzi del tifo negli stadi Pierluigi Spagnolo, giornalista de La Gazzetta dello Sport, in un incontro che ha preso le mosse dalla frase che lo scrittore felsineo ha usato nella sua prefazione del libro “I ribelli degli stadi”. Un saggio pubblicato da Spagnolo per i tipi della Odoya che traccia “una storia del movimento ultras italiano”, a cinquant’anni dalla nascita di un fenomeno figlio diretto del clima caldo del ’68. In quel prologo Brizzi scriveva: “Non esiste un altro luogo più eterogeneo e trasversale della curva di uno stadio, non esiste un fenomeno più interclassista del tifo, che mette insieme l’adolescente e l’anziano, il rampollo dell’alta borghesia e il disoccupato, il figlio del magistrato e il tornitore”. Un concetto ripreso con forza anche al Festival dello Sport dallo scrittore bolognese : “Le curve sono un luogo particolare dove la koinè, la lingua comune, è quella del tifo che unisce tutti i suoi frequentatori per la propria squadra al di la di ogni altro fattore, dal censo al lavoro, che ti contraddistingue”. Se Pierluigi Spagnolo cita anche Pierpaolo Pasolini, uno dei più grandi intellettuali italiani, che considerava il calcio come l’ultima rappresentazione sacro del nostro tempo, Enrico Brizzi pesca fra i suoi ricordi di ragazzino tifosissimo dei rossoblù: “Lo stadio di Bologna era vicino a casa mia quindi quando la quadra della mia città giocava cambiava proprio tutta la zona anche con l’arrivo dei tifosi, ed allora erano tanti, della compagine ospite”. Brizzi come i protagonisti del suo ultimo romanzo era un tipo da curva: “ll Dall’Ara per me e per molti miei amici – confessa lo scrittore – era una catino di mattoni in cui era brutto non andarci. Mi ci portavano anche da bambino i nonni, quelli che avevano vissuto l’ultimo scudetto, quello del 1964, e i tempi leggendari di quel Bologna che faceva tremare il mondo. Sentivo il peso della storia quando mi raccontavano certe partite”. La curva era per molti, ieri come anche in questo terzo millennio, luogo d’iniziazione interclassista così come un senso particolare assumeva la dimensione della trasferta: “Ricordo un viaggio in treno a Reggio Calabria per vedere il Bologna perdere, ma non è tanto la partita che ti resta nel cuore quanto quel lungo viaggio in treno di quattordici ore durante le quali parlavi, scherzavi, ti confrontavi con gli altri”. Oggi il mondo del calcio è assai diverso a partire dai tifosi, e i numeri dell’affluenza negli stadi italiani parlano chiaro, che in trasferta non ci vanno quasi più così come è diversa la sua narrazione: “Per me ha sottolineato Enrico Brizzi - il calcio aveva una dimensione legata al racconto delle patite, perlopiù con le voci della radio, agli album delle figurine e ai quasi misteriosi nomi di squadre dell’Europa dell’Est. Oggi tutto è cambiato, siamo bombardati da informazioni sportive ma c’è , senza dubbio , molta meno poesia ed epicità”.