È stato Francesco Profumo del Politecnico di Torino a sottolineare per primo a Palazzo Geremia la necessità del piano e a indicare il caso trentino come buona prassi da seguire. Poco prima di lanciare questo appello, Profumo ha elencato dati sconfortanti sull’abbandono scolastico in Italia, definiti “da terzo mondo”. Abbiamo pochi laureati e la denatalità peggiorerà la situazione. Un quadro sul quale intervenire immediatamente cogliendo in giovanissima età, fra le varie azioni necessarie, le possibili difficoltà che potrebbero poi manifestarsi nell’adolescenza e spingere i giovani a lasciare gli studi.
I bambini di oggi saranno le persone di domani, ha detto Raffaella Temporiti, Chief HR Officer Europa, Medio Oriente e Africa, Accenture. Le istituzioni non devono essere lasciate sole: le aziende possono intervenire insegnando ad esempio a bambini e adolescenti le competenze digitali.
Secondo Linda Laura Sabbadini, Direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica, gli abbandoni scolastici sono un fenomeno multidimensionale, complesso e da gestire nel lungo periodo. Laddove abbiamo il numero più alto di abbandoni, troviamo anche il livello più basso di competenze e questo accade soprattutto nel sud Italia. Bisogna mettere in atto dei percorsi che riescano a colpire la sfiducia dei giovani, perché l’abbandono scolastico arriva al termine di una storia di insuccessi. Manca però una strategia complessiva e le realtà locali affrontano a volte bene e a volte male il tema dell’abbandono. E quando parliamo di giovani parliamo del futuro del Paese, come ha affermato Vincenzo Boccia, Presidente della School of Government, Università Luiss Guido Carli. Serve quindi una visione di lungo termine, capendo che la formazione è determinante per le competenze ma è anche un patto di generosità verso il Paese, altrimenti fra vent’anni avremo un vuoto nella classe dirigente. Da tenere presente anche il legame fra l’abbandono scolastico e le condizioni socio-economiche degli studenti.
È fondamentale, inoltre, valorizzare le nuove tecnologie che, ha detto Raffaella Temporiti, a volte spaventano. Poche aziende puntano infatti in questa direzione; servono quindi investimenti per cambiare la situazione.
Dobbiamo anche essere consapevoli, come ha spiegato Francesco Profumo, che il modello industriale che stiamo vivendo non durerà a lungo e quindi la formazione dovrà tenerne conto. Le competenze necessarie nel lavoro cambieranno presto e dovremo quindi abituarci a “tornare a scuola”. Ma accanto al contrasto all’abbandono scolastico e all’importanza dell’innovazione tecnologica, altri due temi da affrontare sono la sostenibilità e il superamento degli stereotipi di genere. La sostenibilità deve essere declinata a 360 gradi e quindi deve essere, secondo Vincenzo Boccia, una sostenibilità ambientale, economica e sociale. Contro gli stereotipi di genere dobbiamo invece, secondo Linda Laura Sabbadini, dotarci di una strategia per combatterli. Questi stereotipi si trasmettono in gran parte inconsapevolmente. Bisogna intervenire quindi nei primi anni della formazione, ad esempio aggiornando libri che trasmettono una visione di uomini e donne rimasta indietro di diversi decenni.