Sabato, 13 Aprile 2019 - 11:15 Comunicato 802

EDUCA: con Galimberti dal pensiero greco e da Freud le «ricette» per il giusto approccio con i giovani

«Il silenzio dei giovani» il titolo della lectio magistralis della decima edizione di Educa, affidata a Umberto Galimberti, uno dei maggiori pensatori italiani contemporanei, che ha catalizzato l’attenzione del pubblico di Educa con riflessioni e citazioni di grandi filosofi, calate nella vita quotidiana. Gli errori più comuni nell’approccio con gli adolescenti, le «colpe» della società opulenta, il mondo virtuale, i guai educativi combinati nell’infanzia, che poi non si recuperano. Una lucida e a volte impietosa analisi, quella di Galimberti, che mette in guardia dal proporre stucchevoli prospettive di futuro basate su una generica idea di ottimismo e progresso e dal proteggere i figli dall’essere autonomi. L’educazione non coincide con l’istruzione: la partecipazione, la fascinazione, l’imitazione sono tre mirabili ed efficaci strumenti per educare da mettere nella cassetta degli attrezzi di genitori e insegnanti.

Nel presentare il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti, Riccardo Mazzeo l’ha definito un gigante del pensiero, capace di connettersi con il pubblico. E così è stato, in novanta minuti intensi e ricchi di spunti. Galimberti è partito dalla constatazione che quella dei giovani attuali è la prima generazione che abita, perennemente connessa, nel mondo web, dove il tempo è velocizzato e lo spazio, la distanza, sono stati aboliti perché non c’è fisicità. Anche lo spazio della riflessione è stato quindi cancellato. Gli adolescenti rispondono sulla base dell’emotività. Ma le emozioni dovrebbero essere trasformate in sentimenti, e per fare questo ci vogliono lo studio, la cultura, l’educazione. «Gli operatori di mercato conoscono i nostri ragazzi meglio dei genitori. Propongono loro modelli di forza e bellezza, facili da vendere. I sentimenti, invece, non li abbiamo per natura. Sono una facoltà cognitiva che si impara. Per secoli vi hanno contribuito miti e storie, gli dèi dell’Olimpo, la letteratura. Non tenete i vostri figli lontani dal lutto e dal male, quando ci sono. Non esonerateli» ha ammonito Galimberti. Educare, in sintesi, alla luce della riflessione filosofica che parte dai classici greci per arrivare a Freud, significa proprio questo: passare dalla pulsione all’emozione al sentimento. Una cura emotiva trascurata, ormai, dai genitori, indaffarati, demotivati o distratti. Potrebbe farsene carico la scuola, ma servirebbero classi da 12-15 ragazzi e insegnanti davvero motivati e preparati: «Com’è possibile – si è interrogato Galimberti strappando l’approvazione del pubblico – che agli insegnanti non sia proposto un corso obbligatorio di psicologia dell’età evolutiva?». Per fare l’insegnante serve l’empatia, una dote che permette di leggere nel cuore. «Come sei andato a scuola? A che ora ritorni?»: il dialogo genitori-figli si riduce spesso a queste due domande. L’adolescenza è un’età incerta, lo hanno detto anche i filosofi. Massima pulsione, minimo controllo razionale: tra i 13 e i 20 anni non se ne scappa. Il nichilismo si aggira già nelle case degli adolescenti, per Galimberti, e dobbiamo «guardarlo in faccia». I ragazzi non parlano ai genitori perché si aspettano disinteresse o risposte scontate e formali. «Perché devo darmi da fare?», «perché devo stare al mondo?» sono le grandi domande senza risposta che spingono ad abbandonarsi o annientarsi. In passato, sia la società che la famiglia – ha osservato Galimberti – ci insegnavano a impegnarci. Oggi la società ci dice di divertirci, consumare, esibirci. E vince. Il futuro, per i giovani di oggi, non agisce più da motivazione, perché da promessa è diventato una minaccia. Cosa fare, dunque? Galimberti è chiaro: «Freud ci insegna che nei primi sei anni di vita dei bambini si formano le mappe cognitive, cioè il modo di conoscere, e quelle emotive. Per le neuroscienze già nei primi tre anni. I bambini e tutti noi abbiamo bisogno dell’identità, che è il dono che ci fa la società riconoscendoci. Parlare ai bambini, raccontare storie, tentare di rispondere alle loro domande, mettere la società davanti agli individui, come nell’Antica Grecia. Non contestare gli insegnanti, non riempire i figli di regali inutili. Piccole grandi regole per rompere «il silenzio dei giovani».



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