Domenica, 05 Giugno 2016 - 18:32 Comunicato 1247

Delocalizzare significa perdere esperienza e conoscenza. La lezione della globalizzazione alle imprese.

“Come cambia la globalizzazione”, se ne è discusso con Michael Hüther, Luca Paolazzi e Lucia Tajoli. Oggi la globalizzazione sta cambiando volto, dopo la crisi mondiale non c'è più un "turbo commerciale" come quello che ha identificato la sua prima stagione. Questo succede perché è in corso una sorta di polarizzazione del commercio mondiale, con scambi dentro le aree dei 3 grandi poli del commercio mondiale: America del Nord, Unione Europea e Balcani e Asia Orientale e Oceania. In questa polarizzazione degli scambi mondiali l'Asia ha superato l'Europa, le catene del valore superano i confini nazionali e sono globali.Le imprese hanno capito che delocalizzando perdono conoscenze ed esperienze. Questa è la lezione che le imprese hanno ricavato dalla globalizzazione. Con la crisi si è riscoperta l'importanza del manifatturiero come motore dello sviluppo economico. La distanza geografica torna a contare, per avere efficacia nelle produzioni bisogna essere anche vicini logisticamente, la dimensione condiziona il commercio internazionale.

Presso Sala Depero del Palazzo della Provincia di Trento, nel pomeriggio di  oggi, si è discusso di “Come cambia la globalizzazione” con Michael Hüther, direttore dell'Institut der deutsche Wirtschaft Köln (Istituto di ricerca economica tedesca), il giornalista Luca Paolazzi direttore Centro Studi Confindustria e Lucia Tajoli docente all'Università Bocconi di Milano, coordinati da Regina Krieger, giornalista di Handelsblatt.

Con Luca Paolazzi si è cercato di capire come cambia la globalizzazione, un fenomeno non così nuovo come si pensa. La prima grande globalizzazione infatti, più intensa di quella attuale, si ebbe a fine '800, primi '900. Poi scoppiò la Prima Guerra Mondiale che sospese la globalizzazione in atto. Oggi la globalizzazione sta cambiando volto, dopo la crisi mondiale non si riscontra lo stesso turbo commerciale che ha identificato la prima parte del fenomeno. Questo succede perché c'è in corso una sorta di polarizzazione del commercio mondiale, con scambi all'interno dei tre grandi poli del commercio mondiale: America del Nord, Unione Europea e Balcani e Asia Orientale e Oceania.

In questa polarizzazione degli scambi mondiali l'Asia ha superato l'Europa, le catene del valore superano i confini nazionali e sono globali. L'interscambio è costituito in larga parte da semilavorati. Si sono attenuati gli effetti di shock storici e tecnologici come la caduta del muro, l'ingresso della Cina nel WTO e la rivoluzione ICT e si presenta una perdita di slancio dell'industrializzazione degli emergenti. Le imprese hanno capito che delocalizzando perdono conoscenze ed esperienze. E questa è la vera lezione che le imprese hanno avuto dalla globalizzazione. Con la crisi inoltre, si è riscoperta l'importanza del manifatturiero come motore dello sviluppo economico. La distanza geografica torna a contare: per avere efficacia nelle produzioni bisogna essere anche vicini logisticamente, la dimensione torna a condizionare il commercio internazionale.

Concetto, quest'ultimo, ribadito anche da Lucia che parla di un mondo fortemente polarizzato, con mercati internazionali basati su una struttura centrale alla quuale sono legati Paesi più periferici. Poli sempre più distinti, con un sistema di produzione regionale sostenuto da assi che lo legano ai centri di produzione mondiale, legami fortissimi tra loro, ed importantissimi, come quello che lega Stati Uniti e Cina, legame che tiene in piedi letteralmente l'inteera rete di scambi mondiali.

Dalla crisi, abbiamo assistito ad un rallentamento degli scambi, e questo dipende proprio dall'asse USA Cina. La Cina sta cominciando a guardare in più al suo interno e comincia a rallentare pesantemente gli scambi.

Potremo quindi continuare a parlare di globalizzazione a patto che questi blocchi rimangono collegati tra loro, perché esiste forte il pericolo di avere un mondo con blocchi divisi e separati. Uno dei problemi è l'assenza di un dialogo multilaterale convinto: gli accordi come Transpacifico e Transatlantico hanno proprio il compito di tenere uniti questi blocchi. E questi accordi avranno un ruolo cardine sul futuro della globalizzazione. 

Michael Hüther. Siamo in una nuova fase della globalizzazione. E porta come esempio un confronto nel maifatturiero tra Stati Uniti e Germania. Mentre negli USA le imprese sono dislocate e individuali su tutto il territorio del Paese, in Germania le aziende che operano nel manifatturiero, fanno parte di un distretto, non sono isolate. La Germania è riuscita a dare risposta e a fare risposte specifiche ad hoc alla domanda a favore della crescita. 

Ma se analizziamo la situazione in termini di PIL, dall'anno 2000, vediamo che le nostre aspettative sono state deluse, in termini di crescita. E questo ha fatto ridurre gli investimenti. Cosa si può fare per tornare sul sentiero della crescita? Dovremo cercare di associare il prodotto a servizi diversi, adottare nuove tecnologie per favorire la nascita di nuovi prodotti e nuovi processi e l'utilizzo di robot nei processi industriali.



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