Sabato, 02 Giugno 2018 - 17:08 Comunicato 1314

Daniel Susskind: la disoccupazione tecnologica? È un rischio che riguarda anche i creativi

Decifrare le emozioni sul viso di un uomo, risolvere un caso giudiziario grazie all’analisi massiva dei precedenti, diagnosticare la malattia più rapidamente del medico o addirittura preparare i penitenti alla confessione religiosa: queste sono solo alcune delle nuove facoltà conquistate dai computer grazie all’intelligenza artificiale. Ma allora tutti i lavoratori, inclusi avvocati, architetti e creativi, rischiano di diventare “disoccupati tecnologici”? Se lo è chiesto oggi, al Festival dell’economia, il ricercatore di Oxford, già analista politico del governo britannico, Daniel Susskind.

“Un computer non sa nulla di legge né di medicina, eppure grazie all’intelligenza artificiale e all’incremento delle sue facoltà di calcolo, è oggi in grado sia di risolvere in autonomia un caso giudiziario che di diagnosticare rapidamente un carcinoma” inizia così la riflessione sulla “disoccupazione tecnologica” del ricercatore a Oxford Daniel Susskind, già analista politico del governo britannico e autore del best-seller “Il futuro delle professioni”.

Una riflessione, la sua, che non esclude nessun mestiere, nemmeno quelli creativi, dal rischio obsolescenza.

“Nel 1994 – dice Susskind – il genio degli scacchi Garry Kasparov venne battuto da un computer: cosa che fino a pochi anni prima era considerata semplicemente impossibile. Eppure il futuro dell’automazione è scritto nel passato stesso dell’umanità: dai vascelli senza timoniere di Omero, che tanto ricordano le auto a guida autonoma, alle sculture platoniche talmente vere da scappare dall’atelier, proprio come succederebbe in un moderno film sui robot”. Insomma, si produce sempre di più, ma con sempre meno lavoratori e non soltanto nei settori economici, come quello agricolo o manifatturiero, dove ormai ci si è abituati a convivere con l’automazione. Certo, la scienza non può insegnare ai computer l’empatia o perlomeno non nel modo in cui i genitori la insegnano ai bambini, però può suddividere le professioni in diversi compiti e attività, molti dei quali sono di routine e dunque programmabili per essere ripetuti in sequenza anche dalle macchine. Si tratta per esempio di confrontare gli atti di un processo con i precedenti, offrire un servizio di vendita online tramite chatbot o addirittura calcolare il numero di preghiere che il penitente deve recitare per essere assolto in base al peccato confessato, come proposto da un’app immessa recentemente sul mercato. Ma allora come attrezzarci per i prossimi vent’anni di fronte alla crescente digitalizzazione della vita quotidiana e alla costruzione di macchine sempre più potenti?

Susskind propone tre diverse chiavi di lettura: “In primis – spiega – direi ai giovani di scegliere se competere con le macchine, formandosi per svolgere i lavori che ancora le macchine non riescono a fare, o se imparare a costruire e programmare le macchine stesse. In entrambi i casi, però, è necessario offrire ottime competenze informatiche e digitali agli studenti, in modo che possano governare l’automazione e utilizzarla per diventare più produttivi. Il grande rischio delle società post-industriali non è infatti quello della disoccupazione, quanto piuttosto quello di non avere persone formate per lavorare con la tecnologia”.

Il secondo consiglio è rivolto alle aziende, affinché smettano di focalizzarsi sui prodotti e si concentrino sul dare al cliente il servizio più efficiente e personalizzato possibile.

Terzo appello, infine, ai governi, perché in questo processo di riconversione lavorativa dei cittadini non trascurino chi, a causa dell’automazione ha perso il lavoro, e perché legiferino in maniera etica e responsabile, per esempio sull’utilizzo dei big data e sulle modalità di utilizzo delle banche dati informatiche.

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