Folto pubblico ieri sera nella splendida cornice dell’atrio del Muse. Ad aprire i lavori il direttore Lanzingher, per il quale non vi è nessuna contraddizione fra un museo, tradizionalmente concepito come il luogo che ospita cose “impagliate”, ed un tema così attuale, perché al Muse interessa proiettarsi nel futuro, pur facendo tesoro delle sensibilità del passato (ad esempio quella di Alexander Langher, che su questo argomento – ha ricordato Lanzingher - disse cose profetiche). Il vicepresidente della Provincia Tonina ha richiamato gli effetti della tempesta Vaia – 360 milioni di euro di danni e due persone morte – ma anche gli Stati generali della montagna, evento organizzato per riflettere sul futuro delle alte quote e quindi non da ultimo per riflettere su eventi come questo, e pianificare nuove traiettoie di sviluppo. Ciò comporta l’assunzione di decisioni politiche, “ma il Trentino – ha aggiunto Tonina - non parte da zero, perché fin dagli anni 60, con l’alluvione del 66 e il primo Piano urbanistico, a cui sono seguiti il secondo, dopo la tragedia di Stava, e il terzo nel 2008, molto di positivo è stato fatto. Non in tutto l’arco alpino è andata così. Ma anche noi abbiamo bisogno di ascoltare e di capire di più, per poi poter tradurre il tutto in decisioni concrete, ed è questo il senso e l'importanza di eventi come Trentino Clima 2019”. Leveghi ha ricordato che anche al Filmfestival di Trento negli ultimi anni sono arrivate molte pellicole centrate sul tema dei cambiamenti climatici, e questo perché la montagna è un “sensore”, registra prima di altri ambienti il cambiamento. Ma qual è l’insegnamento che se ne ricava? Innanzitutto quello relativo al senso del limite.
“Viviamo in un’era che cerca certezze – ha detto Giacomin – mentre la meteorologia è fatta anche di incertezze. L’importante è sforzarsi di conoscere di più, ma anche agire e reagire, come fanno oggi i movimenti giovanili che si impegnano su questo tema. A volte le persone preferirebbero sentire notizie che ci tranquillizzano, e questo spiega il successo, specie sui social, delle dichiarazioni dei negazionisti, le notizie che negano l’esistenza del cambiamento climatico. Spesso sentiamo dire che la scienza non è democratica. Non è così. La comunità scientifica è oggi uno degli organismi più democratici che esistono, perché vaglia e verifica tutte le idee, indipendentemente da chi le esprime. Ai media bisogna chiedere che si comportino in maniera responsabile e coerente”.
“La scienza è democratica – ha confermato Valentini – perché i sistemi di valutazione che adotta richiedono l’anonimato, valutano solo i dati, i modelli. Oggi abbiamo delle certezze. Il riscaldamento globale nell’ultimo secolo non può essere spiegato solo con le variazioni naturali, prescindendo dall’azione dell’uomo. La concentrazione di carbonio nell’atmosfera è la più alta degli ultimi 800.000 anni. Una cosa mai vista. L’uomo ha perturbato l’atmosfera terrestre, e i risultati si vedono: scompaiono i ghiacciai, le barriere coralline. Sul pano scientifico le cose sono chiare. Sul piano mediatico e culturale è tutto molto più complesso. Greta viene dalla Svezia, un paese molto sensibile a questo problema. In Italia non c’è una cultura della sostenibilità così sviluppata. In parte è comprensibile, perché veniamo da un’epoca in cui sembrava fossimo destinati ad una crescita infinita. Chi è nato negli anni 60 ha visto raddoppiare il genere umano. Non era mai successo prima".
Segrè ha invitato a non adoperare termini catastrofisti e deprimenti, ma ha anche detto che è impossibile che un numero esiguo di negazionisti continuino ad avere tutto questo spazio. “Zichichi, con tutto il rispetto, cosa ha scritto? Basta guardare su Google. Sul tema non ha scritto una riga. Potrà essere autorevole su altri territori, non su questo. Detto questo, il vero tema è quello della responsabilità, dei comportamenti e dei consumi. Il Club di Roma parlava dei limiti dello sviluppo già negli anni 60. La sfida del 2030, lanciata dalla Ipcc, la possono raccogliere oggi i giovani, chi è nato alla fine degli anni 90. Questa generazione è molto esposta alle fake news che vengono veicolate sulla rete. Gli utenti dell'informazione sono disorientati. Quello che manca è l’educazione. Io studio da molti anni lo spreco di alimenti. Perché sprechiamo il cibo, o lo buttiamo? Perché non siamo educati al suo valore. Lo stesso vale per il clima. Educazione ambientale, educazione alimentare, educazione alla sostenibilità dovrebbero partire dalla scuola. Non dobbiamo essere pessimisti ma è anche vero che di queste cose se ne parla da molto tempo e ancora si vedono pochi risultati, e molto in ritardo”.
Immagini e intervista a cura dell'ufficio stampa