Introdotto dal professor Pellizzari, Danilo Cavapozzi della Ca' Foscari di Venezia ha innanzitutto illustrato i risultati dell'indagine condotta sul tema. La maggior parte degli intervistati ritiene che la professione si tramandi di padre in figlio, che questo renda difficile l'accesso a certe professioni per chiunque non abbia dei "precedenti" familiari e che sarebbe auspicabile un accesso più facile per tutti. Ne consegue che per la maggioranza del campione il legislatore dovrebbe intervenire al fine di rendere a tutti coloro che lo meritano l'accesso al mondo delle professioni. Ed ancora: la maggior parte delle persone ritiene che la rete delle conoscenze familiari sia determinante al fine di trovare un lavoro. L'ultima domanda era più personale: quanto è stata importante per ciascun intervistato la rete di conoscenze familiare per trovare il primo posto di lavoro? Sorprendentemente, la risposta è stata che essa è stata poco o per nulla rilevante.
Il dibattito ha preso le mosse da qui. Da un lato, è quasi scontato che la famiglia sia importante, sia uno dei luoghi dove avviene, anche, la cosiddetta formazione del capitale umano. Tuttavia ciò può determinare dei problemi sia sul piano dell'equità sia su quello dell'efficienza: può accadere non solo che chi proviene da famiglie prive di "connessioni" importanti sia svantaggiato nell'accesso a certe professioni a prescindere dal merito, ma anche che una persona priva di un talento specifico in un settore decida comunque di accedervi perché facilitato dal padre.
Per Sartor la questione della trasmissione della professione è sempre esistita e va tenuta separata rispetto a quella della rete delle conoscenze familiari. La prima è in qualche modo "naturale", la seconda può avere conseguenze negative e distorsive del mercato del lavoro. Il problema è però che esistono ancora barriere legali di tipo "medioevale" per accedere alle professioni.
Schizzerotto ha sottolineato come il rapporto fra condizione familiare e mobilità sociale si sia allentato; la nostra è una società più aperta e meritocratica rispetto al passato. Tuttavia questo è vanificato dal fatto che l'Italia dal 1995 non cresce più. Conseguentemente, le classi superiori e medie non si sono espanse; al tempo certe posizioni sono rimaste inaccessibili ai giovani perché occupate dalle persone più anziane.
Cosa potrebbero fare dunque i "genitori" nei confronti dei figli? Promuovere politiche che favoriscano lo sviluppo, non alimentare posizioni di dipendenza dalla famiglia di origine che inibiscono l'intraprendenza dei giovani, potenziare le politiche per le pari opportunità e per l'accesso alla casa.
Siciliotti a sua volta ha confermato che la professione del genitore influenza profondamente le scelte dei figli, "ma una volta arrivato sul campo di chi sei figlio non conta più niente, perché il cliente se ne accorge subito se sei o no all'altezza del padre." Il problema, inoltre, non riguarderebbe solo le professioni ma l'intero sistema capitalista italiano, che è profondamente familista. "Nessuno sa chi è il signor Coca Cola ma tutti hanno chi è il signor Fiat o il signor Pirelli." Per quanto riguarda gli ordini professionali, il futuro è nella specializzazione. Il futuro sta nell'essere curiosi, ladri di competenze altrui, non 'stabili', perché le competenze che abbiamo oggi domani sono già vecchie.
Il presidente del commercialisti ha detto inoltre che il pareggio di bilancio non è alle porte, che il 2013 dovrà essere un anno come il 1948, di "rifondazione", oppure il Paese non rimarrà in piedi. "Le contraddizioni sono molte, ad esempio fra lavoro produttivo e non produttivo, fra lavoro tassato e non tassato. Per cambiare ci vuole anche un cambiamento politico, perciò dico alle persone che vogliono il cambiamento: candidatevi."
Pellizzari a sua volta ha rafforzato il concetto: "Il mondo cambia sempre più rapidamente, di ciò dobbiamo rendercene conto anche all'università, se vogliamo che i percorsi di formazione siano davvero efficaci." Per quanto riguarda invece le professioni, invece, proprio le ricerche svolte sembrano confermare che, sì, esse rappresentano in effetti un caso particolare rispetto a quello di altri percorsi lavorativi, sotto il profilo della loro trasmissione di padre in figlio. In questo ambito specifico del lavoro, di chi sei figlio continua ad essere determinante.
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