Sabato, 04 Giugno 2016 - 13:43 Comunicato 1185

Banche, fondazioni e sviluppo economico

Lo sviluppo finanziario locale è un ingrediente fondamentale di quello economico. Ancor più in un paese di piccole imprese come l’Italia, dipendenti dal credito bancario e impossibilitate a ottenerlo a distanza, presso le banche straniere o emettendo bond. Se ne è parlato nell'incontro organizzato da lavoce.info, assieme a Gian Maria Gros-Pietro, Chiara Mio, Umberto Tombari, Flavio Valeri, Enrico Zanetti, introdotti da Luigi Guiso e con il coordinamento di Pino Donghi.
Il contesto è dato dalla riforma del sistema bancario in corso in Italia, credito cooperativo compreso. Dagli anni 90 ad oggi la situazione delle banche locali era fortemente migliorata, anche per effetto delle liberalizzazioni introdotta dalla normativa europea. Fra gli effetti, una facilitazione nell'accesso al credito da parte delle giovani coppie e dei giovani imprenditori. Oggi però le banche locali sono in crisi. Cosa è successo? Per Guiso la transizione avviata da Amato, da un sistema pubblcio ad un sistema privatistico, è rimasta a metà. Nel sistema sono entrate pesantemente le Fondazioni, che hanno assunto il controllo di una fetta consistente degli istituto di credito. Il problema oggi è in gran parte dell'assetto proprietario, giudicato inadeguato. Chi governa le banche è spesso inadatto al ruolo. Non è coinvolto patrimonialmente. Se è nominato per volontà politica, è quasi certo che sarà "un cattivo pardone".
Tuttavia, il sistema bancario italiano, meno orientata a pratiche speculative, rimane solido, nonostante le sofferenze prodotte dalla crisi.

Gros-Pietro, presidente del Cda di Intesa San Paolo, il più grande gruppo bancario italiano, ha sostanzialmente confermato questa analisi. Certo, dall'inizio della riforma Amato il numero delle banche è fortemente calato (da più di 1000 a circa 600), e di banche pubbliche non ne esistono più. Rimane il problema di un cambiamento che non è stato portato fino in fondo. Il sistema bancario italiano è fortemente distribuito sul territorio - solo in Trentino Alto Adige le banche sono in totale 98 - ma in generale in altri paesi europei, come la Germania, il numero delle banche è anche maggiore, e così la presenza politica al loro interno. Più del numero delle banche, ciò che conta è la loro adeguatezza al sistema economico e il loro assetto, la governance. Inoltre, il problema degli npl, i cosiddetti crediti deteriorati, particolarmente grave in un paese dove la crisi ha spazzato via il 25% delle imprese (clienti delle banche) e il 10% del pil.

Chiara Mio, presidente di Friuladria, banca di medie dimensioni, con 200 sportelli, ha spezzato una lancia in favore delle banche locali, purché non interpretino il loro ruolo in termini di "localismo". Meccanismi di controllo, know how, tecnologia, spingono verso l'adozione di un modello federale e plurale. Venendo alle esposizioni, "gli npl - ha detto - derivano anche dall'incapacità di dire dei no, dai crediti concessi troppo facilmente. I no costano, producono tensioni sul territorio. Ma è anche così che si fa credito locale in maniera sana".

Flavio Valeri di Deutsche Bank (primo azionista, il Qatar), ha sottolineato come il gruppo come il suo, molto internazionale, abbia però anche una importante funzione locale "soprattutto in Brianza e nella penisola sorrentina". Per una banca aiutare il territorio significa "capire soprattutto le esigenze delle piccole e medie imprese e avere una competenza robusta sulle dinamiche micro". Forte la sottolineatura sul ruolo dei centri studi nel consentire di agire efficacemente a livello locale, pur avendo una dimensione sovranazionale.

Umberto Tombari, presidente della Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze, ha ripreso il tema del controllo delle Fondazioni sulle banche locali. "E' un modello ormai superato. La Fondazione deve basare oggi il suo agire sul principio di decorrelare il proprio  impegno dal territorio. Nel nostro caso, negli ultimi 2 anni abbiamo innanzitutto ceduto il residuo 10% della cassa di risparmio locale e abbiamo ceduto l'1,2% della Intesa San Paolo". La vera scommessa, però, è il modello  da adottare per il futuro. "Per quanto riguarda la gestione del patrimonio il modello deve essere quello nordamericano. Al tempo stesso, le Fondazioni possono e devono coltivare progetti strategici anche rivolti al territorio, in campi diversi da quello del credito, quali il welfare o capitale umano, facendo rete con altri soggetti pubblici e privati".

Infine il viceministro dell'Economia Enrico Zanetti, che ha portato al tavolo l'oruientamento del Governo. "Quando diciamo che il sistema bancario italiano è comunque un sistema solido non lo diciamo per dovere di bandiera. Oggi è vittima della crisi economica, una crisi generatasi laddove gli orientamenti finanziari erano molto più speculativi che in Italia. la grande esposizione bancaria che abbiamo registrato è dovuta a questo, non a ragioni sistemiche". Zanetti ha riconosciuto tuttavia che al settore servono maggiori competenze manageriali. "Ancora troppi nel nostro paese fanno banca senza sufficiente spirito imprenditoriale". Tuttavia vi sono ancora troppe banche; questo ha spinto verso una nuova riforma che spinge verso la fusione delle banche popolari. Ciò al fine di favorire un cambio di passo nella governance di quelle realtà che per dimensioni lo necessitano. Un passaggio infine sul Fondo Atlante, creato dal governo per aiutare le banche maggiormente esposte. "Un equilibrio va cercato. Non possiamo mantenere in piedi un sistema nel quale è più facile fallire se sei creditore anziché debitore".

(mp)


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