Domenica, 19 Aprile 2015 - 02:00 Comunicato 883

Ieri sera nell'ambito di Educa, al Teatro Zandonai di Rovereto
BALIANI: SULLE "TRACCE" DELL'OCCIDENTE

La fiaba come origine di ogni nostro sapere. Il mito come ciò che, prima della ragione e della scrittura, ci ha educati a vivere insieme. L'umanità occidentale che ha trasformato la natura intorno a sé, senza più riti propiziatori per chiederne il permesso. Il bisogno di recuperare teatro e favola per "conoscere meglio se stessi" e "rendere il mondo meno terribile". Questi i segni, le "Tracce" di cui è andato in cerca ieri sera Marco Baliani, con l'omonimo spettacolo al Teatro Zandonai di Rovereto. Un monologo in scena per EDUCA, il festival dell'educazione, che proseguirà fino a questa sera.-

"Bambini che guardano con stupore le stelle, è lo scopo e la conclusione". Queste le prime parole del monologo di Marco Baliani, quello che egli stesso ha definito un'affabulazione, una narrazione fantasiosa e coinvolgente. La frase che cita il poeta inglese Thomas Dylan, ha dato il via ad un racconto sulla nostra cultura, ieri sera ad EDUCA, il festival dell'educazione.
"Nominare il mondo attraverso le parole, combinando suoni e significati, consente di possedere ciò che c'è intorno a noi. Il miracolo della parola è che quel che dico, all'improvviso, c'è". L'Occidente come cultura nata sulla scrittura e "sull'alfabeto, sigillo di un silenzio che non tace, perché appena lo guardi, se sai leggere, ti parla".
Ma della cultura orale c'è qualcosa che l'uomo occidentale, per Baliani, ha perso: "non diamo più un'anima alle cose. Non preghiamo, non chiediamo più il permesso per muovere un sasso, trasformiamo il mondo. E in questo modo gli abbiamo fatto perdere parte della sua magia. Siamo lontani dal mondo primordiale in cui, da bambini, ci chiedevamo se anche un albero si gusti la propria ombra".
Eppure, ha detto Baliani, è proprio dalla potenza di quell'oralità che noi veniamo. "Parlar di spiriti, desiderio e natura ha ancora sostanza nelle fiabe, dove la magia è possibile. Esse non sono solo un modo per educare i bambini. Sono state pensate anche per gli adulti, per rendere il mondo meno terribile. Ci insegnano a non credere troppo a ciò che vediamo". L'incredulità delle fiabe anche come radice della nostra capacità di critica, del diffidare: "al giorno d'oggi, sarebbe un'educazione perfetta".
Nello sviluppo della trama di una fiaba, nell'incoscienza con cui ci si lascia coinvolgere, si è se stessi, secondo Bailani. "Perché non educhiamo allo stupore delle fiabe? – si è chiesto – Perché non educhiamo all'irrazionale, all'assurdo, all'ignoto, all'imponderabile e all'indicibile che la vita ci riserverà? Le fiabe dicono questo di noi. Sono pozzi di misteri, cose da conoscere e sapere". Un grande maestro per Baliani sa "sedurre", nel senso di "sviare":"e-ducare" significa "portar via da", e "i maestri ci sanno proprio sviare e condurre altrove, dove altrimenti non andremmo. Per questo educare è molto più che insegnare una materia".
Netta la critica all'Occidente e al suo stile di vita: "Nemmeno i politici usano più la parola progresso, se non in campo scientifico. Sappiamo bene che, al di fuori della scienza, esso è un incubo. Forse se avessimo scritto un po' meno e ci fossimo raccontati un po' più fiabe non avremmo conosciuto due guerre mondiali, l'Olocausto, la minaccia nucleare". L'affabulazione di Baliani non conclude, ma lascia una domanda: "che cos'è la civiltà, e che cosa intendiamo quando diciamo che la nostra è grande?"
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Service video a cura dell'ufficio Stampa della Provincia autonoma di Trento -