Elisabetta, Anna, Maria, Maddalena, Caterina: sono le cinque figlie di Ferdinando d’Asburgo re dei Romani e futuro imperatore. Le ritrae nel 1534 l’illustre artista di corte Jakob Seisenegger. La maggiore ha otto anni, uno appena la più piccola. Avvolte in abiti elegantissimi, giocano ignare del loro prossimo destino. Il grande dipinto faceva parte di una fastosa serie di ritratti della famiglia asburgica, destinati a decorare l’appartamento privato del principe vescovo di Trento Bernardo Cles. Del pregevole insieme rimane oggi solo questa tavola, tornata, dopo un lungo restauro, curato dalla Soprintendenza per i beni culturali di Trento, alla sua antica dimora, il Castello del Buonconsiglio.
L’esposizione, curata da Lia Camerlengo insieme con Francesca de Gramatica, Alessandro Pasetti Medin e Francesca Raffaelli, che celebra la restituzione al pubblico dell’importante dipinto, è una preziosa occasione per indagare la storia delle piccole principesse, nel gioco politico delle dinastie europee, per approfondire il ruolo del principato trentino nello scacchiere internazionale in un momento storico cruciale, e per riscoprire un pittore insigne, che fu contemporaneo e contendente di Tiziano.
Quattro erano i ritratti di Jakob Seisenegger nel palazzo di Bernardo Cles, dove rimasero fino all’inizio dell’Ottocento. Tre di essi andarono poi perduti. Raffiguravano Ferdinando I, la consorte Anna di Boemia e Ungheria, i figli maschi Massimiliano e Ferdinando. L’unica tavola oggi conservata rappresenta le figlie, cinque all’epoca della realizzazione del dipinto. Nate tra il 1526 e il 1533, le piccole principesse, in abiti elegantissimi, giocano insieme, all’apparenza ignare del loro destino, vincolato alle strategie politiche della famiglia asburgica. Promessa sin da piccola a Sigismondo Augusto Jagellone, futuro re di Polonia, Elisabetta lo sposerà nel 1543. Anna sarà unita in matrimonio nel 1546 con Alberto di Wittelsbach, dal 1550 signore del ducato di Baviera. Maria andrà in sposa nel 1546 a Guglielmo, potente duca di Jülich Kleve Berg. Maddalena si dedicherà alla vita religiosa e fonderà il convento femminile di Hall. Caterina sposerà nel 1549 Francesco Gonzaga, duca di Mantova, e poi, nel 1553, Sigismondo, già consorte di Elisabetta, divenuto re di Polonia nel 1548. La grande tavola di Seisenegger, tornata ora al Castello del Buonconsiglio, riallaccia il dialogo con le opere degli artisti presenti alla corte di Bernardo Cles, impegnati a celebrare, con ritratti e richiami araldici, le relazioni tra il principe vescovo e gli Asburgo: Dosso e Battista Dossi, Girolamo Romanino, Marcello Fogolino, Alessio Longhi. Il dipinto, insieme agli altri tre della serie, era in origine collocato nella prima stanza dell’appartamento privato del principe vescovo, al secondo piano del palazzo. In occasione di questa esposizione, è presentato, temporaneamente, nella Camera delle Udienze. Spazio politico per eccellenza, affrescato da Romanino nel 1531, questo ambiente presenta sulla volta una celebrazione della casa d’Austria. Carlo V e Ferdinando I; Carlo il Temerario, Filippo il Bello e Massimilano I conversano idealmente con gli imperatori romani: una galleria di Uomini illustri, cui le figlie di Ferdinando si accostano, proponendo una serie parallela di Donne Illustri.
Nato nel 1505 in un luogo ancora ignoto dei domini asburgici, Jakob Seisenegger si dedicò fin dall’inizio della sua carriera alla ritrattistica, seguendo i grandi esempi della pittura nordica contemporanea. Si affermò grazie a questa specializzazione negli ambienti imperiali, ottenendo nel 1531 la nomina di Hofmaler, artista di corte, presso Ferdinando d’Asburgo, fratello dell’imperatore Carlo V. Contemporaneo e contendente di Tiziano, con i numerosi ritratti degli anni Trenta, tra cui il celebre Carlo V con il cane ora a Vienna, divenne uno dei principali interpreti e diffusori in Europa del profondo rinnovamento portato dagli Asburgo, a partire da Massimiliano, alla politica delle immagini dinastiche. Unico dipinto di Jakob Seisenegger conservato in un museo italiano, l’opera è stata ritirata dall’esposizione permanente del Castello del Buonconsiglio, a causa di problemi conservativi, legati principalmente al suo supporto ligneo e alla sua grande dimensione. Per valutare il comportamento delle tavole lignee che la compongono, è stata a lungo monitorata, inizialmente nei depositi del museo e poi nel laboratorio di restauro della Soprintendenza. Al tempo stesso, sono state condotte indagini sui colori e sulla sottostante preparazione, per orientare accuratamente il restauro, sia del supporto che della superficie pittorica. Al termine dell’intervento, il dipinto è stato collocato in una teca climatizzata, appositamente realizzata per garantire condizioni climatiche stabili e una sicura movimentazione Il dipinto è stato realizzato su un supporto molto sottile di tavole di pero. La natura igroscopica del legno, che provoca inevitabili movimenti e deformazioni, ha richiesto nel corso del tempo vari interventi di restauro. L’ultimo, eseguito nella seconda metà del Novecento, è consistito in una massiccia parchettatura e nell’incollaggio di due tavole originariamente libere. L’esito è stato un irrigidimento del supporto, con la conseguente formazione di fessurazioni e quindi di sollevamenti e cadute del colore. Nell’ attuale intervento di restauro, è stato quindi necessario sostituire questa parchettatura rigida con un nuovo telaio più leggero dotato di molle metalliche regolabili, che, pur fornendo un supporto statico alle tavole, le lascia libere nei naturali movimenti del legno. Le indagini scientifiche condotte durante il restauro hanno consentito di ricostruire la particolare tecnica pittorica utilizzata dall’artista. Il supporto ligneo è stato preparato con un doppio strato di carbonato di calcio e colla animale, il tipico fondo bianco dei dipinti cinquecenteschi di area nordica. Su questa base, l’artista ha iniziato a operare realizzando l’impianto pittorico a tempera, con pigmenti impastati con latte/caseina. Ha quindi proseguito con la stesura a velature dei vari colori, miscelati con olio di lino. In questo modo, facendo anche abbondante uso di lacche rosse e resinati di rame verdi, intendeva conferire al dipinto un aspetto lucido, quasi smaltato: un effetto splendente che nel tempo si è in parte perduto. Alcuni di questi colori, brillanti ma fragili, si sono infatti progressivamente opacizzati e scuriti in modo irreversibile.