Domenica, 02 Giugno 2013 - 02:00 Comunicato 1623

ARTIGIANATO: WELFARE PUBBLICO O PRIVATO? LA VIA È NEL MEZZO

Come sarà il nuovo welfare per l'artigianato: pubblico o privato? La via è nel mezzo, secondo quando indicato da Gianfranco Cerea, Bruno Anastasia e Luca Romano, nell'incontro organizzato a Palazzo Calepini dagli Enti bilaterali artigianato del Friuli Venezia Giulia, Marche, Piemonte e Trentino, nell'ambito del Festival dell'Economia. Ad introdurre i relatori Luca Nogler, che è partito da un paragone significativo: "Ci occupiamo oggi delle piccole imprese: esse sono come il calabrone che, per le leggi della fisica, non dovrebbe volare. Ebbene, le piccole imprese non sono capitalizzate, non sono rappresentate in borsa, non hanno la cassa integrazione, eppure la loro economia è riuscita a generare, a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, una crescita significativa".-

Fra welfare pubblico e privato, per Gianfranco Cerea, che è professore di Economia all'Università di Trento, la via è nel mezzo: "Veniamo da una cultura in cui il welfare era o pubblico o privato, ma rispetto a questa polarità si sono introdotti, da tempo, due concetti: la nozione di sussidiarietà, perché le politiche tendono ad essere portate più vicine agli utilizzatori effettivi, ovvero vi è una dimensione locale più che nazionale, e la nozione di integrativo, perché fra la soluzione pubblica e quella privata, ci può essere una terza via intermedia, chiamata a correggere le inadeguatezze del pubblico e a rafforzare le iniziative del singolo".
Sul tema dei fondi sanitari in Italia vi è problema di fondo: "La soluzione adottata quasi esclusivamente in Italia è quella del fondo sanitario modello bancomat: se come artigiano vivo in un territorio dove la sanità pubblica funziona, pago i miei contributi ma tenderò a domandare poca sanità privata e quindi vi saranno rimborsi modesti, viceversa se la sanità non funziona utilizzerò maggiormente la sanità privata e quindi avrò più occasioni di chiedere rimborsi. Questo si traduce in un trasferimento di fondi dal nord al sud". Se però alla soluzione dei "fondi nazionali" si sostituisce quella dei "fondi locali", vi è il rischio che questi fondi siano piccoli e privi di potere contrattuale, per questo la via indicata da Cerea è intermedia, dove "alcune questioni possono essere trattate in modo nazionale e altre a livello locale".
Sotto il profilo della previdenza integrativa, per il professor Cerea negli ultimi tempi sono cambiate drasticamente le prospettive: "Ci saranno due Paesi, in Europa, che nei prossimi anni non avranno problemi di sostenibilità delle pensioni, uno è la Svezia e l'altro è l'Italia. E questo perché abbiamo adottato il sistema contributivo, in questo modo il rapporto fra la spesa pensionistica e il Pil è stabile se non in diminuzione". Cambia di conseguenza anche il ruolo della previdenza complementare, per questo Gianfranco Cerea ha lanciato l'idea di "utilizzare il fondo pensioni come un ammortizzatore sociale, in modo flessibile e personalizzato", ovvero il fondo di previdenza complementare potrebbe diventare "uno strumento di risparmio fiscalmente incentivato". Nelle conclusioni di Cerea anche un accenno alla specificità trentina: "In Trentino Alto Adige vi è integrazione fra i fondi dei lavoratori dipendenti e autonomi ed è in progettazione anche un fondo sanitario fra dipendenti del pubblico e del privato. Ma questo è un mondo particolare, qui le cose funzionano in modo diverso e non so neanche se sono replicabili altrove, i servizi diretti dello Stato non ci sono più, qui dello Stato sono rimasti solo la polizia, i carabinieri e la magistratura".
Bruno Anastasia, coordinatore dell'Unità di ricerca del Centro veneto lavoro, ha quindi spiegato il ruolo degli ammortizzatori sociali in Italia e come questo sia cambiato con la crisi: "Attualmente la spesa complessiva per gli ammortizzatori sociali si aggira sui 20-21 miliardi di euro, ovvero è più che raddoppiata. Ma questa spesa non è dovuta solo alla crisi, l'incremento è andato di pari passo ad altri fenomeni". In sostanza, il ricorso alla cassa integrazione in deroga, da strumento straordinario è diventato ordinario per le imprese che "non fanno più magazzino e gestiscono la flessibilità della forza lavoro". E se la crisi ha spinto la cassa integrazione, c'è stata anche "una riorganizzazione del sistema produttivo intorno a queste modalità".
Infine la tesi di Luca Romano, direttore del centro di ricerche Local Area Network di Padova: "L'Italia ce la potrà fare solo se riuscirà a valorizzare la sua specificità, le sue differenze, essenzialmente quello che nella fase antecedente la crisi economica era un insieme composito di modelli territoriali di sviluppo".

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