PUP: 50 anni verso il futuro

quotidiano l'Adige - Lunedì 25 settembre 2017

Ugo Rossi, presidente della Provincia autonoma di Trento
Carlo Daldoss, assessore provinciale all’Urbanistica

 

“L’ identita’ non è qualcosa che si eredita dal passato ma il presente intento ad agire per costruire il futuro. L’ identità è dove il passato e il futuro si incontrano.”
Potremmo usare questa frase di Wael Farouq, egiziano, docente universitario alla Cattolica di Milano per provare a riassumere lo spirito con cui ci apprestiamo a ricordare, con una serie di incontri tematici sul territorio, i 50 anni del Piano urbanistico provinciale, quel Pup, come lo chiamano familiarmente i trentini, che ha rappresentato una delle grandi intuizioni di Bruno Kessler.

Si tratto’ infatti di un’ operazione che voleva costruire il futuro e lo fece proprio puntando sull’identita’ di un popolo e di un territorio e quindi realizzando l’incontro fra passato e futuro.

Possiamo dire che se quello fu lo spirito di allora oggi vogliamo tenerlo vivo e provare a disegnare oggi il nostro futuro, ma sulla base di un identico approccio.

Approvato l’11 agosto 1967, il primo Piano urbanistico tracciava le coordinate del futuro del Trentino, in sintesi: sviluppo diffuso, creazioni di poli urbani in ogni valle, tutela dell’ambiente e del paesaggio.

La parola “pianificazione” all’epoca centrava perfettamente lo spirito del tempo, e nel farlo, indicava qualcosa di un po’ diverso rispetto ad oggi.

Fotografava innanzitutto l’esigenza ma anche l’ambizione di saper governare i tumultuosi processi di cambiamento che il territorio stava attraversando, ma poneva anche l’accento sull’esistenza di un sapere tecnico - quello che la nascente Università di Trento, l’altra grande creazione kessleriana, si incaricava di intercettare e di far crescere – spendibile per questo scopo. Grazie ad esso, si potevano assumere le decisioni più appropriate, potendo ragionevolmente predeterminare gli esiti a cui avrebbero portato: detto molto semplicemente, questa era la “bussola” che orientò i protagonisti della straordinaria vicenda del primo Pup. Gli obiettivi erano chiari: innanzitutto, riequilibrare il rapporto fra aree urbane e di fondovalle e la montagna, creando opportunità di crescita, di studio, di accesso ai servizi e di lavoro per tutti e contrastando la tendenza allo spopolamento (ricordiamoci si era appena conclusa la stagione dell’emigrazione). Ma anche introdurre dei vincoli per la salvaguardia del territorio e la tutela del paesaggio, nella consapevolezza, allora pionieristica, che ambiente e sviluppo non fossero inconciliabili, che, specie in una realtà come quella trentina, non potesse esserci l’uno senza l’altro.

Ritornare oggi a quegli eventi non significa fare un semplice esercizio di memoria e di pura celebrazione.

E’ necessario invece utilizzare questa occasione per rileggere, anche criticamente, alcuni passaggi della nostra storia. Lettura critica che non puo’ non basarsi su una domanda di fondo: l’autonomia ha sempre saputo generare, come dovrebbe, altra autonomia, nel singolo individuo, nelle famiglie, nelle associazioni, nelle imprese, e a tutti i livelli istituzionali? In questi 50 anni, le decisioni assunte sono sempre state all’altezza delle aspettative scaturite da passaggi “epocali” come quello del varo del Pup?

Per esempio il  nostro welfare o le nostre politiche di sostegno all’economia hanno rappresentato di volta in volta le risposte in assoluto più adeguate alle sfide che avevamo di fronte? Sono stati a loro volta fattori di generazione di autonomia?

Rispondere a questi interrogativi richiede grande onestà intellettuale, ma solo cosi’ ci consente di individuare i nodi che dobbiamo ancora sciogliere, in tutto o in parte, e quindi di imprimere una direzione ben precisa ai nostri sforzi. Sul versante dell’uso del territorio, ad esempio, non possiamo ignorare le ipoteche poste dal proliferare dei capannoni o delle seconde case, e dal parallelo impoverimento dei centri storici. Mentre se guardiamo all’agricoltura di montagna, dobbiamo onestamente riconoscere che certe decisioni assunte all’inizio degli anni 80, nella convinzione di imitare modelli di sviluppo più tipici delle pianure, e basati sui grandi numeri (le grandi stalle!), non sono certo andate a vantaggio di quella zootecnia diffusa che è il primo presupposto per la cura e la valorizzazione del territorio e del paesaggio.

Negli ultimi anni abbiamo fatto invece scelte diverse, ponendo un freno al consumo di suolo e ai nuovi volumi e incentivando le ristrutturazioni, sostenendo i piccoli esercizi commerciali nelle valli, guardando alla nostra agricoltura, alle nostre produzioni tipiche, al paesaggio, come a risorse fondamentali, anche per un turismo più sostenibile, più diffuso e maggiormente destagionalizzato. Ma molta strada rimane da fare. Così è anche per la partita della mobilità: abbiamo fatto investimenti importanti sul ferro, dobbiamo essere pronti ad utilizzare al meglio le opportunita’ che si determineranno con il tunnel del Brennero ( 3 ore di treno da Monaco a Rovereto per esempio) ma nel contempo  è  necessario un impegno immediato e più forte soprattutto nelle valli, ad esempio nella forma di autobus cadenzati ogni ora e a basso impatto ecologico.

Dobbiamo porci obiettivi sempre più ambiziosi anche sul versante delle reti telematiche e del telelavoro, in particolare dei dipendenti della pubblica amministrazione, e adottare logiche di sviluppo unitarie dei diversi poli del Trentino. Questa stessa logica, che spinge verso l’unione delle forze, la crescita delle sinergie, la costruzione di “piattaforme” comuni, deve permeare di sé il sistema economico e imprenditoriale, come dimostra la vicenda Folgarida Marilleva. Tutto ciò, lasciandoci definitivamente alle spalle quelle forme più o meno occulte di dipendenza a cui accennavo poco fa, che in passato non hanno sempre incoraggiato l’iniziativa privata,  l’autonoma assunzione di responsabilità, la capacità di miglioramento.

Pensiamo  che questo cinquantenario possa rappresentare un momento importante per riflettere su queste ed altre problematiche. Perciò fin dal logo che indica la serie di eventi che svilupperemo nelle prossime settimane abbiamo indicato l’esigenza di “anticipare il futuro”. Si apre – anzi, si è in parte già aperta - una nuova stagione di pianificazione per il Trentino. Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che stiamo affrontando la sfida del rinnovamento della nostra Autonomia speciale.

Di nuovo il Trentino si fa laboratorio. Cosa cambia rispetto a 50 anni fa? Cambia innanzitutto l’idea di pianificazione. L’accento oggi si sposta dal sapere tecnico alle forme partecipative attraverso le quali il territorio esprime le sue esigenze, la sua volontà. Ecco il perché degli incontri tematici che organizzeremo in diverse località del Trentino, con la regia dell’Assessorato provinciale all’urbanistica che non a caso ha anche delega per la coesione territoriale. Incontri che consentiranno l’espressione e la raccolta delle indicazioni che chiunque vorrà esprimere sulle diverse tematiche in discussione. Naturalmente il supporto dei “tecnici” non verrà meno: nel corso degli incontri verranno anche presentati i dati sintetici che rappresentano i cambiamenti intervenuti  nel Trentino dagli anni 60 ad oggi, zona per zona (dinamiche della popolazione, diffusione dell’istruzione e delle attività culturali, salute, occupazione, distribuzione delle abitazioni, delle imprese, mobilità e così via). Disporre dei più aggiornati elementi di conoscenza è fondamentale per prendere decisioni con cognizione di causa E’ previsto inoltre anche un  momento di confronto più propriamente tecnico con gli ordini professionali e l’Istituto Nazionale di Urbanistica, prima della sintesi finale nella quale verrà illustrato il percorso fatto e si cominceranno a tracciare delle ipotesi di lavoro per il futuro.

E’ evidente però che l’enfasi sul confronto e sulla partecipazione dei cittadini, delle forze economiche e sociali (che pure erano state coinvolte già cinquant’anni nell’elaborazione del Piano) oggi assuma una valenza determinante, e non si pensi a questo richiamo come ad un esercizio di retorica. Molti fattori concorrono a mettere la cosiddetta “democrazia partecipata” al centro dell’attenzione: il nuovo assetto istituzionale, con la relativa redistribuzione di poteri e competenze fra Provincia e enti locali che ha determinato, ma anche il calo generale di fiducia dei cittadini nella politica, ed inoltre le nuove spinte federaliste e autonomiste che vediamo emergere in altre regioni italiane, e la proiezione euroregionale ed europea tout court del Trentino. Tutti questi elementi, differenziano profondamente la realtà odierna da quella della stagione di Kessler, e imprimono una direzione precisa alle traiettorie di sviluppo future. Da un lato oggi le diverse parti del Trentino sono chiamate a operare scelte importanti, superando in maniera definitiva campanilismi e localismi senza per questo abdicare alle logiche della globalizzazione che vorrebbe annulla le specificita’.  Possiamo parlare, in questo senso, di dover aprire la stagione dell “autonomia diffusa”, una nuova stagione di riscoperta delle potenzialita’ dell’ autonomia, di voglia di fare assieme, di cooperare per il bene proprio e per quello comune. Una stagione in cui la nostra vocazione di autogoverno che da sempre abbiamo coltivato e che da 70 anni ha trovato possibilita’ di realizzazione istituzionale dentro la Repubblica coltivi anche l’ambizione di essere al servizio di una nuova idea di democrazia in Italia e anche in Europa.

D’altro canto  siamo consapevoli che le scelte che operiamo per il nostro territorio intersecano e sono influenzate da quelle di altri soggetti, vicini (è il caso dell’Alto Adige e del Tirolo, ma anche più lontani (Bruxelles oltre che Roma, ma piu’ in generale il contesto globale).

50 anni di Pup, quindi, per ricordare da dove veniamo, questo è certo.

Ma soprattutto, 50 anni di Pup per rivolgere uno sguardo “dritto e aperto nel futuro”, per  decidere in quale Trentino vogliamo vivere e far crescere i nostri figli e nipoti. E per prepararci ad utilizzare ancora una volta uno strumento che  racchiude in sé moltissime potenzialità ed è l’espressione della nostra identita’: la nostra autonomia speciale.