Mercoledì, 11 Luglio 2018 - 17:56 Comunicato 1705

La forza dei batteri di mamma

Una ricerca sulla trasmissione del microbioma materno pone le basi per capirne meglio l’impatto sulla salute di bimbi e bimbe. La rivista scientifica “Cell Host and Microbe” gli ha dedicato la copertina. Lo studio è coordinato da un gruppo del Cibio dell’Università di Trento in collaborazione con l’Ospedale Santa Chiara di Trento.
[ foto ©Alessio Coser per l'Università di Trento]

Sono trasmessi in modo diretto fin dai primi istanti di vita. Nelle varie fasi del parto naturale e poi nell’allattamento al seno e nel contatto “pelle e pelle”. E appaiono più persistenti nel bambino rispetto ad altri. A rivelare le peculiarità dei batteri e altri microorganismi materni è un articolo pubblicato oggi sulla rivista scientifica “Cell Host and Microbe”. La notizia ha ottenuto anche la copertina, dove la mamma viene raffigurata con un grande ombrello in grado di proteggere il suo piccolo da microorganismi indesiderati e sotto il quale avviene la trasmissione madre-bambino.

Lo studio, coordinato da un gruppo di ricerca del Cibio – Centro di Biologia integrata dell’Università di Trento in collaborazione con l’Ospedale Santa Chiara di Trento riconfermato “Baby Friendly Hospital” (iniziativa Oms-Unicef) e finanziato dalla Fondazione Caritro, dimostra il passaggio di vari microorganismi da madre a bambino durante i primi giorni e mesi di vita. Ricercatori e ricercatrici hanno mappato la trasmissione del microbioma anche grazie a nuovi strumenti informatici e hanno mostrato come i batteri provenienti dalla madre colonizzino il neonato e la neonata in modo più duraturo rispetto a batteri provenienti da altre sorgenti (come l’ambiente circostante). «Lo studio pone le basi per capire meglio il processo di acquisizione del microbioma, del suo impatto sulla salute del bambino, e del ruolo del parto naturale, dell’allattamento al seno e del contatto pelle a pelle» osserva Nicola Segata, responsabile dello studio e a capo del laboratorio di Metagenomica computazionale al Cibio.

La ricerca vede protagoniste 25 coppie mamma/bimbo reclutate e campionate dalle unità operative di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Trento a partire dal 2014. Per identificare i microorganismi che compongono il microbioma e ricostruirne la trasmissione sono stati adottati innovativi metodi computazionali (ovvero bioinformatici) applicati a una tecnica biotecnologica di ultima generazione chiamata metagenomica.

Ogni persona, infatti, ha un doppio “bagaglio” di informazioni che porta con sé per tutta la vita. Da una parte ha il patrimonio genetico, ereditato dai genitori. Dall’altra il microbioma, corredo di innumerevoli batteri, virus e funghi che popolano il corpo. Analizzare il microbioma permette di individuare specie microbiche e relative varianti che caratterizzano il corredo dell’individuo e potenzialmente studiare quanto queste coadiuvino il nostro stato di salute o ci espongano a determinate malattie. La mappatura dei microorganismi avviene grazie alla metagenomica, un metodo biotecnologico che dalle feci, dalla saliva, o da tamponi cutanei o vaginali di una persona consente di risalire ai microorganismi presenti attraverso il sequenziamento del loro materiale genetico e l’analisi informatica dei dati.

Segata racconta come è stata svolta la ricerca: «Abbiamo raccolto in ospedale durante il ricovero per il parto campioni di microbioma da varie parti del corpo dalla madre (pelle, lingua, feci, vagina) prima della nascita e dal bambino dopo la nascita (feci e lingua). Abbiamo poi meticolosamente processato e analizzato tali campioni per identificare gli eventi di trasmissione di microorganismi dalla madre al bambino».

Cosa è emerso? «Tra le cose principali, abbiamo capito che tutti i microbiomi che abbiamo campionato dalle diverse locazioni corporee della madre contribuiscono in modo diretto allo sviluppo del microbioma del neonato. Il bambino acquisisce microorganismi anche da sorgenti diverse dalla madre, ma abbiamo scoperto che i microorganismi provenienti dalla madre è molto più facile che rimangano stabilmente nel neonato rispetto ai microorganismi acquisiti in altro modo, da altre fonti. Questo porta anche a ipotesi intriganti perché questa preferenza per i microorganismi materni da parte del neonato potrebbe essere un meccanismo co-evolutivo finora poco considerato». È interessante anche notare che alcuni batteri che vengono trasmessi dalla madre al bambino provengono da specie batteriche sconosciute: «Sarà importante cercare di caratterizzare questi batteri sconosciuti con esperimenti mirati per capire quale ruolo specifico possano avere per la salute del bambino» aggiunge Pamela Ferretti, prima autrice dello studio.

Lo studio apre prospettive ambiziose, continua Segata. «Ora che abbiamo compreso come e quali microorganismi passano al neonato dalla madre, vogliamo capire meglio quale sia il loro impatto sulla salute del bambino e come la trasmissione del microbioma materno venga alterata da fattori quali parto cesareo, assenza di contatto "pelle-a-pelle" tra madre e neonato nei primi istanti di vita, alimentazione con latte in formula. In un futuro si potrebbe pensare di ripristinare i microorganismi che non sono passati dalla madre nei bambini per una di queste ragioni. Ripristinarli potrebbe risultare infatti importante per migliorare benessere e salute generale dei bambini».

L’articolo, dal titolo “Mother-to-infant microbial transmission from different body sites shapes the developing infant gut microbiome”, vede coinvolte 45 persone afferenti a dieci strutture universitarie e sanitarie internazionali. Sono del Cibio la prima firmataria, Pamela Ferretti (ora dottoranda all’EMBL, The European Molecular Biology Laboratory), il referente e coordinatore, professor Nicola Segata, e altri sei membri del Laboratorio di Metagenomica computazionale. Sono co-firmatari anche sedici operatori dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari che hanno coordinato e svolto la raccolta di campioni all’ospedale Santa Chiara di Trento. Le stesse persone del Cibio sono anche co-autori e co-autrici di un altro lavoro sulla stessa rivista che conferma i risultati ottenuti in una analisi complementare svolta nei laboratori di Harvard e del Broad Institute di Boston.



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