Giovedì, 11 Aprile 2013 - 02:00 Comunicato 958

La conferenza questo pomeriggio al Pala Trento
IL DALAI LAMA: LA MENTE SI PUO' ADDESTRARE ALLA FELICITA'

E' stata una vera e propria ovazione quella che ha accolto oggi il Dalai Lama, salito alle 14 in punto sul palco allestito al Pala Trento. Anche se alla sua quarta visita in Trentino dal 2001, Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama, ha suscitato un interesse fortissimo nella popolazione trentina, accorsa in massa per ascoltare il suo messaggio, dedicato in particolare al tema della felicità, ma naturalmente anche con molti excursus su temi di stretta attualità e sulla situazione tibetana. Dal Dalai Lama in particolare un forte appello ai giovani: "Io appartengo al XX secolo - ha detto - e il passato non si può cambiare. Spetta a voi far sì che il XXI secolo non sia uguale a quello che lo ha preceduto." Riguardo alla felicità, invece, il Dalai Lama ha detto fra l'altro che "la mente si può addestrare. Questo non è un postulato filosofico o religioso. E' un dato di fatto comprovato dalla scienza. Proprio perché tutti noi siamo esseri umani, siamo nati da una madre, tutti abbiamo dentro queste potenzialità. Dobbiamo imparare a coltivarle, per noi stessi e per gli altri."
In apertura, il saluto del presidente della Provincia autonoma di Trento Alberto Pacher, che ha ricordato i solidi legami stabiliti nel corso del tempo dal Trentino con il popolo tibetano, anche attraverso numerosi progetti di solidarietà internazionale (una quindicina quelli portati avanti fino ad oggi e rivolti soprattutto alle comunità tibetane della diaspora, nei settori della salute e dell'educazione). "C'è un sentire profondo – ha detto Pacher – fra questa terra e il popolo tibetano, così lontano geograficamente eppure così vicino al nostro cuore. Questo legame, questo sentire comune continuerà a crescere fin quando le giuste richieste dei tibetani non troveranno ascolto."-

Quindi Roberto Pinter, presidente di Italia-Tibet, che ha sottolineato l'orgoglio del Trentino dell'Autonomia e della convivenza per il suo essere un esempio possibile per la causa tibetana. "Ma siamo anche tristi perché oggi, qui, lei rappresenta uno dei tanti tibetani che non possono rientrare nella sua terra", ha aggiunto, ricordando gli oltre 120 tibetani i quali si sono arsi vivi in questi mesi per protestare contro l'occupazione cinese del Tibet, iniziata nel lontano 1949. "Vogliamo l'indignazione per l'offesa recata ogni giorno a un popolo che ha scelto la strada della non-violenza per portare avanti le sue ragioni", ha detto ancora con forza Pinter prima di lasciare la parola all'ospite, che ha deciso di parlare in piedi "così vedo meglio i vostri volti. E se riesco a vedere i volti delle persone con cui parlo allora provo qualcosa di forte."
Una conferenza, quella del Dalai Lama, centrata come abbiamo detto sul tema della felicità, già affrontato in mattinata nel corso della sua conferenza stampa. In apertura però, un accenno alla capacità del popolo tibetano di resistere alla tentazione della violenza, anche sotto l'oppressione, ed un ringraziamento a tutti coloro che supportano la causa del Tibet, esortandoli a loro volta a farlo sempre in maniera pacifica anche se ferma. "Chi sostiene il Tibet – ha aggiunto – non sostiene solo i tibetani, sostiene la causa della giustizia."

Poi, come spesso accade in presenza del Dalai Lama, un breve siparietto con una spettatrice con i capelli tinti di blu, prima di una forte sottolineatura sull'uguale diritto di tutti gli esseri umani ad essere felici. "Tutti e 7 i miliardi di uomini e donne nel mondo si sforzano di essere felici, risolvendo problemi che essi stessi hanno creato. Ognuno di noi ritiene di avere il metodo migliore per raggiungere la felicità e rimuovere gli ostacoli, quando invece la causa dell'infelicità è stata generata da noi. Io sono diventato un rifugiato quasi 55 anni fa, quando ho abbandonato il mio Paese. Da bambino, ero come tutti i bambini, studiavo per paura dei miei tutori, ma volevo solo giocare. Quando ho dovuto prendere nelle mie mani la vita del Paese, e sono andato prima a Pechino, a incontrare Mao, nel 1954, e poi in India, a incontrare i ghandiani, venendo molto influenzato da loro, sono progressivamente cambiato e maturato. Infine, nel 1959, ho dovuto lasciare il Tibet, e da allora vivo all'estero. Se guardo al percorso della mia vita, mi rendo conto di avere attraversato moltissime situazioni traumatiche. Ma attraverso queste esperienze ho capito una cosa fondamentale: che la sorgente ultima della pace è dentro di noi, e che dobbiamo sempre tornare a quella fonte. Tanti tibetani che sono stati imprigionati anche per 20-25 anni nei gulag cinesi mi hanno confermato questa cosa straordinaria. Un monaco che conoscevo molto bene da giovane e che è stato nei gulag cinesi per 18 anni, una volta, quando venne a trovarmi, a Monaco, mi ha detto: sono stato fortemente in pericolo. Io pensavo, in pericolo di vita. Lui intendeva invece in pericolo per il fatto di essere stati sul punto di perdere la compassione nei confronti dei cinesi. Questo significa mantenere la pace mentale, anche in situazioni così estreme come la prigione, la persecuzione e la tortura. Da 30 anni a questa parte portiamo avanti ricerche anche con scienziati molto seri su queste cose. Gli scienziati hanno analizzato persone che nonostante i traumi subiti nella vita non portavano segni di questi traumi sulla loro personalità. E nemmeno a livello fisiologico. Si è visto che esse hanno una vita cerebrale molto più viva, sana. Negli Stati Uniti è stato fatto un esperimento anche con degli studenti, che per 3 settimane si sono sottoposti ad un vero e proprio addestramento mentale sulla compassione. Prima dell'inizio dell'esperimento sono stati sottoposti a tutta una serie di test. I test sono stati rifatti dopo il training, e tutti i valori, dalla pressione del sangue alla capacità di resistere allo stress, era migliorati. La lezione è che la mente si può addestrare. Questo non è un postulato filosofico o religioso. E' un dato di fatto comprovato dalla scienza.
Proprio perché tutti noi siamo esseri umani, siamo nati da una madre, tutti abbiamo dentro queste potenzialità.
Il XX secolo è stato il secolo dei conflitti. Anche qui in Italia ne avete avuto esperienza. Adesso le cose devono cambiare. E' stato dimostrato che le guerre non hanno risolto i problemi. Siamo nel XXI secolo. Questo deve essere il secolo del dialogo. Aumento della popolazione, fino a 10 miliardi di persone, riscaldamento globale, tensioni di ogni genere create dai populismi, dai flussi migratori, dal crescere abnorme delle città. Le sfide che le nuove generazioni hanno di fronte sono molteplici. Il passato non si può cambiare ma possiamo costruire il futuro. Saranno le nuove generazioni a doverlo fare, la mia è già passata. Io appartengo al secolo scorso e forse anche quella ragazza con i capelli blu. Sono i quindicenni che devono impegnarsi, ora. Dobbiamo usare i conflitti come un'opportunità per generare nuove idee, nuove soluzioni. E', questa, una grande opportunità ma anche una grande responsabilità. Bisogna avere una forte determinazione e portare avanti con saggezza nuove vie per raggiungere questi obiettivi. E io vi guarderò, anche se sarò morto."

Sul palco, al moderatore Giampaolo Pedrotti, capufficio stampa della Provincia, sono poi arrivate numerose domande che sono state sottoposte in forma "aggregata" al Dalai Lama. A colpire l'immaginazione del pubblico, sicuramente, la sua capacità di manifestare sempre calma e serenità. Qual è il segreto? "Uso la mia razionalità, ho un approccio realistico e al tempo stesso analitico ai problemi che devo affrontare. Un grande santo buddista dice che quando affronti delle tragedie, devi analizzarle: se possono essere cambiate non devi disperarti, perché la situazione può migliorare. Se invece non possono essere cambiate è inutile tormentarsi perché non serve comunque a nulla. Anche io ho delle reazioni negative, a volte, ma non le trattengo dentro di me, non lascio che intacchino la mia essenza interiore."
Il Dalai Lama è anche tornato sul tema del materialismo del nostri stili di vita, che permea anche i nostri sistemi educativi e la stessa educazione familiare. "I principi morali non vengono sostenuti adeguatamente, quindi decadono. Le sole cose che contano sono la ricchezza e la fama. D'altro canto i principi morali del buon cuore e della compassione non sono basati sulla religione, se lo fossero non sarebbero universali, perché le religioni cambiano. Ed inoltre nelle stesse religioni spesso alberga l'insincerità. Questi principi devono quindi essere trasmessi in altro modo. A livello scientifico sono state fatte scoperte importanti. E' stato provato che gli stati mentali positivi dell'amore e della compassione determinano la felicità in chi li prova ma si riflettono anche all'esterno, sugli altri."
Fra le tante domande, anche quella di una ragazza cinese, che vorrebbe visitare il Tibet. I suggerimenti del Dalai Lama: studiare, approfondire la conoscenza della tradizione cinese, paese buddista, con 300 milioni di buddisti, in gran parte seguaci del buddismo tibetano, così che si è creata la situazione paradossale per cui nonostante la Rivoluzione culturale il paese dove si pratica di più il buddismo tibetano è la Cina. "Ai tutti i buddisti io dico: bisogna essere buddisti del XXI secolo. Non in maniera meramente emozionale. Bisogna studiare. Il buddismo va preso, all'inizio, come un soggetto accademico. Per questo il buddismo piace così tanto agli scienziati. Il buddismo insegna a cambiare le emozioni negative attraverso l'intelligenza. E poi, in generale, bisogna coltivare il sentimento della compassione, a partire dalla propria famiglia dai propri vicini. Le donne in particolare hanno una maggiore capacità di sviluppare empatia con gli altri, specie con le persone che soffrono. Ed infine, quando diventano madri, le donne devono spendere più tempo con i propri bambini. In generale è importante che le persone giovani spendano molto più tempo con persone meno giovani. Del resto, anche per me che sono vecchio è molto piacevole passare il mio tempo con persone più giovani." (mp) -