Laffi ha usato l’immagine della linea per raccontare la giornata tipo di uno studente, la vita durante la pandemia fatta di brevi tragitti e nel lockdown quando si è dovuta affrontare un’incertezza “volatile”, più difficile da sostenere rispetto alle altre due tipologie, prevedibile e imprevedibile. L’incertezza, come l’improvvisazione, spaventa, ma allo stesso tempo restituisce una vita che ci si era dimenticati di vivere. Ma quali sono le strategie per affrontare l’incertezza? «Sono tre – spiega Stefano Laffi – si può cercare la propria via altrove con quello che era chiamato l’anno sabbatico e oggi è l’anno o semestre di studio all’estero, oppure con l’iperdeterminazione o con il superpotere se non si hanno chiare né le mete, né le capacità. Il nostro compito, a differenza del passato, dove la meta era l’obiettivo, è quello di rafforzare i ragazzi nelle loro capacità di poter superare le cose perché le mete saranno tante e intercambiabili. Nessuno sa realmente quello che desidera: si dice di desiderare quello che si conosce ma quello che si desidera realmente lo si scopre, esplorando i tanti sé possibili e misurandosi con esperienze diverse».
Come affrontare le transizioni, raccogliere le sfide e sfruttare le opportunità offerte dal tempo è stato il tema del successivo focus con Franco Fraccaroli, professore di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni dell’Università di Trento; Roberto Ricci, presidente dell’Istituto Invalsi; Giorgio Vittadini, professore ordinario di Statistica all’Università di Milano Bicocca dal 2000; Federico Samaden, moderatore, presidente della Fondazione Franco Demarchi dal 2001 al 2009. Per parlare di transizioni sul lavoro si parte dalla scuola. La dispersione scolastica in Italia si sta riducendo, ma è alta la percentuale di studenti che abbandonano la scuola precocemente: un numero che è fortemente legato al titolo di studio dei genitori. Secondo i dati Invalsi, inoltre, il 49% degli studenti diplomati ha competenze di italiano molto basse. «Questo significa – racconta Roberto Ricci – che nonostante siano passati 70 anni di scuola post-bellica è ancora importante il contesto sociale e quindi dove sono nato e qual è il titolo di studio dei miei genitori. Per questo il grande tema dovrebbe essere quando cominciare la scuola: a zero anni perché lì acquisiamo le competenze fondamentali su cui basare le competenze disciplinari, colmando il gap».
Gli ambienti diventano curativi dal punto di vista educativo, come ha sottolineato Federico Samaden, forte della sua esperienza a San Patrignano e di tutto ciò che ha visto accadere in Italia negli ultimi 40 anni nel campo delle droghe. Per quanto riguarda le transizioni sul lavoro, secondo i dati, la permanenza media dei lavoratori presso la stessa organizzazione si è ridotta drasticamente. Il tema è «imparare ad imparare – sottolinea Giorgio Vittadini -. Quello che richiedono oggi le imprese sono le soft skills: non bastano più le competenze insegnate nella scuola standardizzata». Bisogna quindi stimolare la capacità di osservazione, di accogliere gli imprevisti e, ancora, «lavorare sul rendere la persona consapevole – aggiunge Franco Fraccaroli - e sulle competenze di adapt-ability, fondamentali per la carriera».
Rassegna stampa ad uso interno: Articolo da L'Adige - 21.04.2024