
“Una volta passata la moda, dove eri uno chef figo solo se fermentavi, ora chi fermenta veramente non sente nemmeno più la necessità di comunicarlo e lo fa in funzione del gusto, non della tecnica - così Davide Caranchini del ristorante Materia a Cernobbio, una Stella Michelin -. Per come la intendo io, la fermentazione è sì un metodo di conservazione, ma è principalmente una tecnica che consente di raggiungere gusti e consistenze che in altri modi non riusciremmo a ottenere”.
Il processo lavora con i batteri e, quindi, non bisogna improvvisare. Lo sa bene Ariel Hagen, Saporium Firenze, 2 Stelle Michelin, che ha persino un Fermentation Lab negli spazi della tenuta madre, Borgo Santo Pietro: le fermentazioni, mai spinte sul versante della provocazione dall’odore sgradevole, sono un oggetto di studio da parte del giovane cuoco, che le propone in assaggi come la terrina di patata con mirtillo rosso lacto-fermentato e bresaola di Agnello del Borgo Santo Pietro.
Appassionata anche la testimonianza di Vea Carpi, scrittrice e responsabile dell’agriturismo Mas del Saro in Val dei Mocheni, che vede nella fermentazione anche un qualcosa che va oltre l’alimentazione: “Facendo il pane e i lievitati con la pasta madre si impara a decelerare. È una vecchia tradizione che richiede tempo e crea un legame con il passato. La pasta madre, o lievito naturale, è un impasto di farina e di acqua lasciato fermentare. La mia pasta madre ha 70 anni e ha bisogno di cure continue e amorevoli. Grazie a lei sforno cose davvero magiche”.
Rassegna stampa ad uso interno: Articolo da L'Adige - 23.09.2024