È stato il giocatore dei bambini, il giocatore della magia. A lui piace spesso definirsi "divino" ma, come sottolineato dal giornalista Luigi Garlando, forse la sua "divinità" è sempre stata (e sarà sempre) la sua unicità. E proprio i bambini, vestendo le maglie delle squadre che ne hanno contraddistinto la carriera, hanno introdotto uno degli appuntamenti più attesi di questa sesta edizione del Festival dello Sport, quello con Zlatan Ibrahimovic. E non poteva che essere "Io sono il calcio" il titolo dato al confronto in cui lo svedese ha raccontato sé stesso. "Da bambino mi dicevano che non ero un talento e non sapevo giocare, ma il calcio per me era pura adrenalina - ha affermato Ibrahimovic.
Si può portare il ragazzo fuori dal ghetto, ma non il ghetto fuori dal ragazzo. L'identità di una persona, come il luogo in cui si cresce, resterà per sempre. La prima esperienza all'Ajax? Mi hanno paragonato a Van Basten fin dall'inizio, non è stato semplice per me e in alcuni momenti ho pensato di tornare a casa. Tutti si aspettavano che facessi subito le magie". Poi il passaggio alla Juventus e successivamente all'Inter, dove Ibrahimovic si è laureato campione d'Italia. "Quanti sono gli scudetti vinti dai bianconeri? Trentotto. Abbiamo lottato ogni giorno per vincere, dimostrando di essere i più forti. Poi quando sono arrivato all'Inter credo che ero vicino al mio massimo. Balotelli? Un ragazzo che ha avuto tante possibilità di usare il suo talento per indirizzare il suo futuro, ma non le ha mai sfruttate. Mentre fuori ci sono ragazzi che aspettano anche solo un'occasione. Paragone con Leao? Neanche per sogno: lui gioca, Balotelli è in tribuna". Per Ibrahimovic è stato poi il momento del Barcellona: "Tutti sognavano di giocare in quella squadra. Se mi guardo indietro, credo che fosse la migliore per vincere la Champions League. Ricordo la partita con l'Inter, all'andata perdemmo 3 a 1. Ma se ci fosse stato il Var…". L'aneddoto più simpatico è stato sicuramente quello del passaggio al Milan: "Galliani venne a casa mia, si sedette e aspettò finché non gli dissi di sì. Dopo aver accettato siamo andati a cena e la carta di credito del Milan non funzionava. Ridendo, ho pensato: caspita è già finito tutto".
Al Paris Saint Germain però Ibrahimovic non ci voleva andare: "È successo tutto velocemente, non volevo muovermi dal Milan, stavo bene. Poi non ero convinto nemmeno della Premier League, ma dopo qualche mese al Manchester United erano diventati tutti miei fan". Lo scudetto più bello però resta l'ultimo con il Milan: "Una squadra senza superstar, dove non ci si aspettava la vittoria, diversamente rispetto a quanto successo nelle altre squadre in cui ho giocato. Si è formato un gruppo che non avevo mai visto, ognuno ha fatto crescere gli altri". Ma l'incontro con Ibrahimovic è stato anche l'occasione per parlare di alcune persone. Berlusconi, "mister Milan che mi ha dato la possibilità di sorridere ancora" lo ha ricordato lo svedese, ma anche Mino Raiola: "All'inizio abbiamo fatto gli arroganti entrambi, ma poi ho fatto un passo indietro. Il primo incontro? Ad un ristorante di sushi: ha ordinato per otto persone, si è mangiato tutto e poi mi ha fatto vedere i numeri di Shevchenko, Vieri e Trezeguet e mi ha detto che io non ero così. E allora gli ho risposto che se ero così bravo poteva vendermi anche mia madre, ma lui doveva fare il miracolo con IbraCadabra".