“Anche se mancano i provvedimenti attuativi, con la riforma del Terzo settore siamo di fronte a una rivoluzione”, ha evidenziato la ministra per le Disabilità, Erika Stefani. “Passiamo da un modello bastato su Stato e mercato a uno che coinvolge anche la comunità”. Un passaggio epocale al quale mancano però alcuni tasselli. “Siamo carenti nella visione di insieme, nel rendere effettiva la coprogettazione e l’articolo 55 del Codice”, ha ammesso la ministra.
Per trovare la strada giusta, è intervenuto il presidente Euricse Carlo Borzaga, bisogna guardare a quanto avvenuto negli anni ’70, quando i servizi sociali in Italia avevano carattere spiccatamente emergenziale ed erano altamente istituzionalizzati (ospedali psichiatrici, orfanotrofi, gradi strutture di contenimento delle persone disabili). “Il Terzo settore, prima come volontariato poi come cooperazione sociale, ha inventato da zero servizi alternativi – case famiglie, centri diurni, inserimento lavorativo – che poi sono quelli che abbiamo oggi”, ha aggiunto Carlo Borzaga. “Se vogliamo l’innovazione sociale – ha proseguito - è quella stagione di mezzo secolo fa che dobbiamo replicare, aggiornandola e puntando sulle logiche di coprogrammazione e coprogettazione”.
La chiave, secondo il presidente di Fondazione Con il Sud Carlo Borgomeo, è tutta nel riconoscimento effettivo del Terzo settore come attore di cambiamento efficace e come soggetto di sviluppo, a partire dagli investimenti del PNRR, dove invece non è mai indicato come soggetto attuatore.
Testimonianza delle capacità di resilienza del comparto arrivano anche dall’utilizzo delle piattaforme digitali durante la pandemia. “Tra ente pubblico, cooperative e utenza c’è stata contaminazione spontanea: serve uno sforzo per riconoscere le doti di innovazione del Terzo settore”, ha detto Ivana Pais, sociologa dell’Università Cattolica di Milano.