Martedì, 20 Agosto 2013 - 02:00 Comunicato 2364

Oggi a Forte Zaccarana per Dolomiti di Pace
MONI OVADIA E I POPOLI IN ESILIO

Il noto artista, attore e regista di origini bulgare ha proposto un concerto-spettacolo di oltre due ore. Al centro temi come l'ebraismo, l'ironia, la shoa e soprattutto la vita. Per ascoltarlo sono saliti in oltre mille-

I viaggiatori lo sanno, specialmente quelli che si muovono lentamente: lo sguardo si alza alla ricerca di punti di riferimento per orientarsi e dirigere i passi. Campanili che rompono la monotonia di una pianura, la vetta di una collina o di una montagna, l'ansa di un fiume. Ma quando non si parla di spostamenti fisici è la stessa cosa?
Sì, spiega Moni Ovadia nel suo Cabaret Yiddish che ha catturato gli oltre mille spettatori saliti per ascoltarlo all'appuntamento odierno di Dolomiti di Pace a Forte Zaccarana, in Val di Sole. È la stessa cosa anche se non si parla più di luoghi fisici ma di luoghi dell'animo, della cultura, di persone e anche di cose immateriali come una lingua. Tutte segnano un punto preciso al quale riferirsi in quella condizione materiale e immateriale allo stesso tempo che è l'esilio.
Lo spiega fin dall'inizio l'attore di origini bulgare e prima di lanciarsi in questa sorta di viaggio alla scoperta di una cultura, che è nata e cresciuta solo in questa particolare condizione, vuole comunicare lo stupore verso la natura. "Sono venticinque anni che lavoriamo e miglioriamo questo lavoro, ma mai ci era capitato di esibirci in uno scenario di questo tipo. Qui natura e cultura convergono. E questo incontro è importante perché dove natura e cultura non convergono allora abbiamo la speculazione e la violenza".
Nell'esilio di Ovadia c'è l'essenza dell'ebraismo e di una cultura nata senza confini né frontiere, c'è il ritmo della musica klezmer, c'è l'ironia di tante storie e storielle, c'è il dialogo con Dio, c'è il dubbio, l'inferno e il ritorno alla vita. In sintesi c'è la storia di questo nostro Novecento vista però con uno sguardo particolare. Gioca Ovadia sui luoghi comuni, sulle barzellette antisemite, sull'autoironia. E così ecco che il vitello d'oro costruito dagli israeliani ai piedi del Sinai non è condannato perché deriva verso l'idolatria ma perché quella fusione ha bloccato tutto l'oro disponibile per il commercio. "Fare soldi dai soldi è facile", sono le sue parole, "ma cosa accade quando uno è povero?" ed eccolo a raccontare la storia o le molte storie di Moishe Schemoskovitz, che povero giunge negli Stati Uniti, diventa venditore di spago e si confronta con il razzismo degli stati del Sud, ma riesce a ribaltare la situazione a proprio favore; svela anche la dieta degli ebrei meno abbienti prima della Seconda guerra mondiale: "dalla domenica al venerdì patate e il sabato, giorno di festa,... pasticcio di patate".
Ovadia si muove lungo una serie di concetti chiave. Un popolo in esilio ad esempio ha bisogno di miracoli. Pensiamo alla fuga attraverso il mar Rosso, la manna nel deserto, ma poiché si è sempre in esilio, i miracoli sono anche quotidiani come accade a un ebreo newyorkese che trova un mucchio d'oro un sabato che però non può toccare perché è proibito nel giorno di shabbat. E allora dopo una lunga discussione con l'Onnipotente ecco che il sabato si trasforma in giovedì. Miracolo oppure...?
E ancora la lingua Yiddish che vive e si ciba di tutte le lingue e come spiega Kafka "è percorsa da migrazioni di popoli". Non poteva mancare una delle figure cardine dell'ironia ebraica e cioè la mamma. La lingua Yiddish è chiamata infatti anche "lingua mamma" ma le madri ebree sono "tremende". Sono come tutte le madri la perfetta unione dell'amore infinito e dell'infinita volontà di dominio sui figli. Non mancano le occasioni per sorridere e ridere. Ovadia è abile a muoversi tra tanto materiale. C'è spazio per l'abilità nel commercio, per le grandi doti di intelligenza e per la figura dei rabbini, sostituiti dagli ebrei atei o agnostici con gli psicologi. E ogni volta si ha l'impressione che convivano autoironia e verità. Alla fine Ovadia non si stufa di ripetere che gli uomini sono solo uomini e che a ogni uomo, anche quello con l'albero genealogico più "brutto", ha diritto a una buona vita. Certo quel destino non è stato garantito a chi è passato attraverso l'inferno della Shoah ma anche qui spunta forte la vita attraverso la storia del sarto polacco Litvinov che, sopravvissuto ad Auschwitz, ritorna alla vita di prima: uomo onesto e giusto. Poi però un giorno il telefono suona e per rispondere brucia un paio di pantaloni di un cliente che stava stirando. "Si dice che da allora perse la fede".
Sulle note dell'ennesima armonia klezmer il pubblico si alza in piedi per battere le mani a tempo e ringraziare Ovadia, mentre gli attori scendono tra la gente per suonare ancora. (ac) -