Sabato, 11 Ottobre 2025 - 14:25 Comunicato 2932

I colpi di tacco di Roberto Mancini

Una vita nel pallone tra campo e panchina, scandita da prestazioni memorabili, vittorie in serie e da alcuni colpi di tacco entrati nella storia del calcio italiano. Roberto Mancini si è raccontato questo pomeriggio davanti ad una gremita platea del Teatro sociale, composta da tifosi, appassionati, curiosi e anche da rappresentanti delle istituzioni come l’assessore provinciale allo sport Mattia Gottardi. Un’ora di riflessioni e aneddoti, di successi e sconfitte, tra le chiamate in diretta di Giovanni Malagò, dell’ex compagno di squadra Gianluca Pagliuca e dell’allora ds dell’Inter oggi al Napoli Lele Oriali, la fede incrollabile e il ricordo ancora vivido di due compagni di squadra e grandi amici come Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli.

[ Alessandro Holneider - Archivio Ufficio Stampa PAT]

Roberto Mancini da Jesi lascia la sua città giovanissimo, a 13 anni, per andare a Bologna e continuare a inseguire il suo sogno di diventare calciatore. Una scelta azzeccata: l’esordio giovanissimo in prima squadra (il sesto più giovane a esordire in Serie A) e 15 stagioni alla Sampdoria dove vince il primo e unico scudetto del club, la Coppa delle Coppe e arriva a un passo dal vincere la Coppa dei Campioni: “Non è stato facile – ha spiegato l’ex ct della nazionale – allora spostarsi da Jesi a Bologna era come spostarsi da Roma a New York e, come penso sia normale, inizialmente ho sofferto la mancanza della famiglia e degli amici. A Genova ero inserito in una squadra relativamente giovane, abbiamo vinto quasi tutto anche perché si è creata una chimica e un rapporto tra noi giocatori incredibile. Ancora oggi ci sentiamo e ci troviamo grazie all’eccellente lavoro del presidente Paolo Mantovani”.
Diverso il rapporto con la nazionale. Non ha avuto molta fortuna, ma si è rifatto da allenatore con il successo all’Europeo e il lancio di tanti giovani talenti: “Ricordo la strigliata di Bearzot al termine di una tournée in Canada e Stati Uniti – ricorda Mancini -. Tornammo alle 6 e mezza del mattino e trovammo nella hall dell’albergo l’allenatore Bearzot ad aspettarci infuriato. Ho passato tutto il mondiale 1990 in panchina ma non ho rimpianti: era una nazionale in cui l’attacco era formato da Vialli Baggio, Carnevale, Serana e Schillaci. Si giovava in due davanti e lo spazio non c’era. La panchina con la nazionale è stata l’esperienza più bella, più importante, più sentita della mia vita. Siamo riusciti tutti insieme a fare qualcosa di impensabile con un record di 11 vittorie consecutive e 37 partite senza perdere. Ci sentivamo imbattibili. Con me hanno esordito Zaniolo, che ancora non aveva giocato in Serie A, così come Pafundi del quale ancora mi chiedo come mai non abbia trovato spazio nella massima serie italiana, Kean e Retegui che sono migliorati tantissimo nei loro club e oggi sono titolari della nazionale”.

La carriera di allenatore nei club è stata ancora più esaltante in particolare per il ciclo aperto nell’Inter, che ha posto le basi per il triplete del 2010, ma anche per aver riportato la premier nelle mani del Manchester City dopo 44 anni: “Il merito è del presidente Moratti – ha ammesso – che ha investito molto nell’Inter e ha comprato molti campioni e quando hai la fortuna di avere giocatori bravi da allenare, vincere è più facile. Al City abbiamo fatto un campionato pazzesco. Abbiamo dominato la stagione ma poi ci siamo trovati 8 punti sotto il Manchester United, li abbiamo recuperati tutti e vinto una partita a dir poco rocambolesca l’ultima giornata contro il Qpr che lottava per non retrocedere”.

(pt)


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