Nel 2020 sono stati spesi per servizi pubblici 345 miliardi, una cifra pari al 20% del pil nazionale e poco meno della metà delle spese correnti delle amministrazioni pubbliche. Oltre due terzi di queste risorse sono impiegate per finanziare sanità e istruzione, oltre a servizi di base come l’anagrafe. Le risorse dedicate a questi servizi sono ingenti e più che aumentare risorse è necessario un recupero di efficienza.
«Oggi che ci troviamo a fronteggiare le conseguenze di una pandemia, è cambiato il perimetro dei servizi pubblici da garantire e sono aumentate le necessità di accesso ai servizi digitali. Il ritorno dello Stato nell’economia e nella vita sociale è una sfida che merita ampie riflessioni» ha esordito Massimiliano Vatiero, ricercatore al Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento nell’incontro del ciclo “Parola chiave” che oggi il Festival dell’Economia ha dedicato a tema dei servizi pubblici.
Ma come si fa a misurare l’efficacia dei servizi pubblici? Secondo Raffaela Giordano, è una sfida complessa: «Certamente occorre tenere conto dell’evidenza empirica che parametra il raggiungimento dello scopo e il rapporto tra risorse investite e risultato ottenuto. Ma questa analisi nel settore pubblico è più complicata perché la definizione dell’obiettivo non è univoca. Ad esempio, l’istruzione serve sia per l’aumento culturale della popolazione, sia per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro. Entrambi obiettivi importanti che richiedono approcci e interventi diversi. «Un altro elemento di difficoltà sta poi nel fatto che nel pubblico i risultati possono prodursi su un arco di tempo prolungato o anche essere legati a una distribuzione degli utenti del servizio non omogenea, dove hanno molto peso le condizioni di partenza. I risultati variano anche a seconda della metodologia adottata. Ecco perché occorre affiancare ai dati oggettivi anche valutazioni di tipo soggettivo, ad esempio le indagini di gradimento da parte degli utenti».
L’analisi vede l’Italia posizionarsi in basso in numerose classifiche europee sulla qualità percepita dei servizi e dell’amministrazione pubblica. Le rilevazioni si basano anche sulla percezione e sull’esperienza diretta delle imprese, che giudicano variabili come il peso della regolamentazione o l’efficienza sistema giudiziario.
Secondo recenti studi condotti dalla Banca d’Italia, il divario nell’efficienza tra Paesi nell’erogazione di servizi pubblici sarebbe determinato in parte dalla qualità della governance. Grazie ad alcune riforme introdotte nel nostro paese (come la legge Severino o la legge Golfo-Mosca sulle quote rosa nei cda) si rileva negli ultimi anni un miglioramento nella qualità della governance di imprese controllate con maggiore apertura alle donne, ai giovani e con il conseguente diminuzione del rischio di corruzione. Questo ha portato anche a un generale miglioramento della percezione e nel dato oggettivo dell’efficienza dei servizi.
«Un altro fattore importante per determinare l’efficienza dei servizi – spiega Giordano – è il controllo da parte dei cittadini. La partecipazione attiva, il coinvolgimento diretto e l’interesse nella gestione dei beni pubblici, confermato attraverso la leva del voto, mostrano di essere correlati e di avere una grande influenza sulla qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, soprattutto in alcuni settori strategici (come istruzione, sanità, trasporti, gestione dei rifiuti) e in particolare per quanto riguarda i servizi locali».
E perché è così importante che i servizi pubblici siano efficienti? «Perché ad essi è strettamente collegata la produttività delle imprese, come dimostra uno studio, sempre della Banca d’Italia del 2020. L’impatto di un aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione sulle imprese è molto maggiore anche dell’impatto dello sviluppo finanziario, soprattutto in alcuni settori che dipendono molto dal pubblico, come le costruzioni».