C’è chi pensa che il carnevale sia una cosa effimera e triviale, un breve tripudio di coriandoli e di fruste mascherine, e invece non è così: carnevale è un rito antico, elusivo e sfuggente ma pieno di significati e di sedimenti storici. Esso è infatti l’erede diretto delle antiche mascherate con le quali, nelle comunità agrarie di tutta Europa, si festeggiava il nuovo anno con la magia di un rito arcaico i cui ministri erano – e sono ancora – delle figure enigmatiche, con il viso coperto e i costumi fantasiosi e bellissimi. La tradizione alpina – e il Trentino in modo particolare – presenta ancor oggi un buon numero di queste antiche mascherate che, pur svolgendosi in occasione del carnevale, hanno mantenuto una identità e una ragion d’essere tutta propria, con figure rituali beneauguranti e sempre uguali che, avvolte nel proprio mistero, tornano anno dopo anno a visitare i paesi.
A San Michele all’Adige ogni anno, nell’occasione domenicale che apre ufficialmente la stagione delle sfilate carnevalesche nel Trentino, queste mascherate arcaiche, autentici relitti di tradizioni che affondano le loro radici nel cuore stesso della cultura agraria dell’Europa, si mettono in comunicazione con il carnevale moderno, quello dei carri allegorici sul modello viareggino, per creare una sfilata di nuovo tipo dove vecchio e nuovo si incrociano e si misurano, dialogando liberamente all’interno di quella grande casa comune che è il carnevale. Questo, complice la collaborazione ormai ampiamente collaudata tra il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina e il Comitato Carnevale di San Michele all’Adige e Grumo, che governa con onore da trentacinque anni la manifestazione e si ripresenta quest’anno al vaglio del pubblico con una dirigenza e uno staff completamente rinnovati.
La nuova formula, praticata in tante parti d’Europa e anche d’Italia – Lisbona in Portogallo, Ptuj in Slovenia, Tricarico e Nuoro, per citare solo alcuni esempi – è alla base del nostro “gran carnevale alpino” che ormai da alcuni anni ravviva l’occasione di San Michele, con il suo fascinoso elementare richiamo.
Quest’anno abbiamo due importanti compagnie da fuori regione: i brutti e i belli di Schignano (Lombardia), paese stretto tra un ramo del lago di Como e il confine svizzero, che ha conservato un carnevale-modello dove primeggiano due classi antagoniste di personaggi, e i lacchè di Benedello (Emilia), che incontreranno i lachè di Romeno e della val di Fassa. Dal Piemonte alla Carnia, dall’Appennino alle Dolomiti, passando per il Trentino, ad annunciare il carnevale c’è sempre la stessa figura: il lacchè composto e silenzioso, araldo o alfiere danzante che precede il corteo delle maschere.
Per finire, a chiudere questa parte della sfilata sarà il famoso carnevàl di Varignano presso Arco (Trentino), con i suoi baldacchini di bambù e di fronde d’alloro, adornati con i simboli alimentari della quaresima incipiente: “e viva la quaresima che l carneval l è nà / polenta e pessatine domàn se magnerà”.
I gruppi ospiti:
Il carnevale di Schignano
Il carnevale di Schignano, un piccolo comune di montagna della Val d’Intelvi, è caratterizzato dalle maschere dei brüt e dei béi, i due principali protagonisti della sfilata. Accompagnati dalle note della fughéta, la piccola banda di paese, i brüt catturano l’attenzione dei presenti con balzi, cadute e improvvise soste. Sono vestiti con abiti frusti imbottiti di paglia, ricoperti di stracci e pelli di animali. In vita hanno legati pesantissimi campanacci. I béi, detti anche mascarùn, incedono con andamento solenne. Hanno abiti a fiori con pizzi e bamboline appuntati su un gonfio pancione. Tengono in mano sontuosi bastoni, ombrellini e sgargianti ventagli. Il corteo è aperto dalla Sigurtà e dai sapör, questi ultimi con il volto dipinto di nero e abiti in pelle di pecora. Vi è poi la Ciòcia, la sola e stridula voce ammessa a parlare nel gruppo di maschere. Moglie del Mascarùn, petulante e polemica, è un uomo in abiti da donna, con il volto sporco di fuliggine e zoccoli di legno. Si aggira tra i presenti lamentandosi delle angherie del marito e coinvolgendo gli spettatori in esilaranti piccoli sketch. Figura di spicco è il Carlisèp, fantoccio che rappresenta il Carnevale. Appeso nella piazza principale durante i giorni di festa, è destinato ad essere incendiato nel rogo finale del martedì grasso, non dopo aver però tentato di fuggire invano in una drammatica e rocambolesca corsa tra la folla e nei vicoli.
Lacchè di Benedello
Il carnevale di Benedello con i suoi lacchè, si svolge in un piccolo paese di circa 500 abitanti situato sulle colline emiliane, in provincia di Modena, dove le manifestazioni di carnevale, che ancora oggi si svolgono secondo l’antica tradizione con maschere, costumi e canoni immutati nel tempo, culminano a metà quaresima con il processo e il rogo della vecchia. Le figure emblematiche della mascherata sono i lacchè, l’arlecchino, il vecchio e la vecchia, il dottore, il portabandiera, i suonatori e i mascheri. I lacchè, che aprono il corteo carnevalesco, hanno alti cappelli a cono che culminano con pennacchi, e indossano abiti adorni di nastri, fiori e campanelli. Ballano la monferrina, impegnandosi in salti alti e inchini di riverenza e di ringraziamento. Anche l’arlecchino, come i lacchè, porta un alto cappello e tiene in mano una bacchetta. Il vecchio e la vecchia, anziana coppia di sposi, alternano momenti affettuosi a litigi e bisticci. Indossano la maschera e si esprimono a gesti, con movimenti spesso grotteschi che suscitano l’ilarità del pubblico. Il dottore, personaggio vestito con mantello e cappello nero, è anche il giudice del processo in cui verrà condannata la Vecchia al rogo. Il corteo è chiuso dal gruppo dei mascheri che danzano a coppie e intrattengono il pubblico.
Il carnevale della val di Fassa
Il corteo carnevalesco della val di Fassa, rappresentato come di consueto a San Michele all’Adige dal gruppo folk di Soraga, è aperto dal laché, che annuncia la mascherata, cui seguono il bufón, con l’alto cappello a cono adorno di fiori, e i marascóns danzanti che, a coppie, incedono facendo risuonare le bronzine legate in vita. Il bufón, che apostrofa gli astanti con salaci battute in rima, ha il volto coperto da una maschera con un lunghissimo naso alla cui estremità è posto un ciondolo rosso a forma di cornetto portafortuna. Il laché e i marascóns recano in mano enigmatiche maschere sorridenti da “bél”. Queste figure fisse sono seguite da personaggi che indossano maschere da “brutto” e improvvisano silenziose pantomime che coinvolgono gli astanti.
I lachè di Romeno
I lachè di Romeno sono ospiti del Gran carnevale alpino dalla prima edizione del 2008. Sono figure vestite di bianco con un alto rosso cappello a cono su cui un tempo erano appuntati monili d’oro o d’argento, e dal quale scendono due lunghi fazzoletti di seta. A due a due, danzano in tondo al suono della musica, spiccando alti salti propiziatori. Un tempo l’ultimo giorno dell’anno nella piazza del paese si cucinava una polenta che i lachè distribuivano ai vicini a mo’ di semina beneaugurante. Della mascherata facevano parte anche gli arlecchini, che dedicavano serenate alle ragazze, e i pagliacci, comicissimi. Il lunedì grasso le maschere organizzavano un finto corteo nuziale che sfilava lungo i sentieri con i lachè in testa, quindi la coppia di sposi, poi la musica, e i vecchi in coda. In ogni paese alle maschere venivano offerti lauti spuntini.
Carnevale di Varignano
I carnevali di Varignano, presso Arco, sono strutture a forma piramidale, in canna di bambù, che possono anche superare i tre metri di altezza. Vengono rivestiti di alloro, edera o bosso e addobbati con gusci d’uovo colorati di nero o di giallo, fette di pane secco, merluzzo e sardine: mangiari e simboli tipici della quaresima incipiente. La prima domenica di quaresima, infatti, dopo la Messa del mattino, carnevali, carnevalòti e più piccoli solagni d’alloro, vengono portati in processione. Sotto ogni carnevale vi è un bambino che suona una campanella. La gente gli fa eco con una cantilena. All’imbrunire, sul dosso di un oliveto che sovrasta il paese, i carnevali vengono accatastati e bruciati in un grande falò tra gli scoppi fragorosi e beneauguranti delle canne di bambù.
Il programma in allegato