Venerdì, 31 Maggio 2019 - 13:15 Comunicato 1215

La reazione dei nazionalismi davanti alle democrazie che non sanno più rispondere alle sfide della globalizzazione

Le spinte, sempre più evidenti in questo terzo millennio, verso il nazionalismo e il protezionismo nascono anche dall’incapacità dei sistemi democratici di far fronte alle conseguenze della globalizzazione. Nell’incontro di questa mattina al Festival, Piero Stanig, assistant professor di Scienza Politica all’Università Bocconi di Milano, ha evidenziato la mancanza di risposte concrete verso i soggetti che hanno subito e continuano a subire le conseguenze del libero mercato. Solo una politica di compensazione dei perdenti, sempre più difficile da attuare anche in Europa, potrà evitare quei processi di chiusura che attraversano le società occidentali e non solo.

L'analisi di Piero Stanig, che ha toccato corsi e ricorsi storici, ha preso le mosse dalle diverse ondate di globalizzazione come la penultima tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX. Una fase, iniziata 1860, di scambi e di prosperità fatta di accordi e di diminuzione dei dazi fra nazioni, aiutata anche dall'invenzione del telegrafo. Ma la reazione a quel processo portò ben presto al protezionismo, a barriere commerciali, all'autarchia e a processi di chiusura che sfociarono nella tragedia della Prima Guerra Mondiale. Uno schema che rischia di riproporsi in maniera drammatica anche nel nostro presente: "Se due economie diverse incominciano a commerciare fra loro - ha sottolineato Stanig - valorizzano reciprocamente i loro settori migliori, ma quelli più deboli di fatto implodono. Per fare in modo che il libero commercio porti ad un miglioramento paritetico è necessaria quindi quella che possiamo definire come "compensazione dei perdenti". Una compensazione alla quale dovrebbero rispondere i singoli governi ma che di fatto non c'è stata, anche a causa delle crisi del debito del 2008, causando un crescente malcontento nelle classi medie".
Per l'opinione pubblica la globalizzazione non è solo commercio ma anche movimento di persone e consumi culturali: fenomeni che per molti sono sinonimo di minaccia della propria identità e la conseguenze portano a spinte nazionalista e protezionista con la chiusura dei confini. "Nessun Paese – ha evidenziato il politologo – è stato capace di avviare strumenti di compensazione realmente efficaci e la reazione ostile della gente non è stata solo verso i singoli governanti ma anche nei confronti del sistema democratico in generale". In questo contesto si inserisce il processo dei movimenti di capitale con la difficoltà sempre maggiore di tassare i profitti delle multinazionali: "Il 40% di questi – ha detto Piero Stanig - va in paradisi fiscali e chi ci rimette di più sono proprio i Paesi dell'Unione Europea costretti di conseguenza ad aumentare il peso della tassazione sul lavoro creando ulteriori malumori". Un pericoloso circolo vizioso quindi che spesso porta a quel nazionalismo economico foriero di protezionismo, bassa tassazione, sul modello di Trump negli Stati Uniti o della flat tax, accompagnati in molti casi anche da una forte retorica nazionalista.



Immagini