Venerdì, 23 Maggio 2025 - 20:14 Comunicato 1339

L'ora della verità: il Medio Oriente

Nell’ambito della XX edizione del Festival prosegue il ciclo di panel di geopolitica “L’ora della verità”. Dopo i primi incontri su Europa e Trump, oggi è arrivato il momento di fare il punto sul Medio Oriente. Un contesto mai così al centro dell’attenzione internazionale come oggi, tra l’orrore che si sta consumando a Gaza e nuovi equilibri che si stanno affermando anche per effetto delle politiche dell’amministrazione Trump. Ne hanno parlato, nella sala della Filarmonica, Paolo Magri, presidente dell’ISPI, Valeria Talbot, responsabile dell’Osservatorio sul Medio Oriente e il Nord Africa dell’ISPI e Pejman Abdolmohammadi, professore di Relazioni Internazionali del Medio Oriente all’Università di Trento.
L’ora della verità: il Medio Oriente Nella foto: Paolo Magri, Valeria Talbot, Pejman Abdolmohammadi [ Sara Maria Perego - Archivio Ufficio Stampa PAT]

Mentre sul confine della Striscia di Gaza continua il blocco dei rifornimenti e delle derrate alimentari, è in corso a Roma il quinto round di negoziati tra Donald Trump e l’Iran per il nucleare. Ma a quale gioco sta giocando il presidente degli Stati Uniti e a quale delle due parti trarrà maggior vantaggio dalle trattative? Del resto, l’ex tycoon ha sempre condizionato, nel bene o nel male, gli equilibri del Medio Oriente, nella prima presidenza con gli accordi di Abramo, nella seconda presidenza chiudendo una tregua con gli Houthi in Yemen, normalizzando i rapporti con il governo siriano e proseguendo i negoziati con Israele per la crisi di gaza. Una politica estera divisiva, che ha suscitato reazioni opposte in tutto il mondo. “Da una parte ci sono gli ottimisti che danno una chance a Trump, perché ha fatto la pace con gli Houthi, ha fatto la normalizzazione con la Siria – ha commentato Magri - dall’altra ci sono i critici di Trump, che lo accusano di fare strategia “pasta a duro”, cioè che le prova tutte per portare a casa il risultato”. 

Nel negoziato con l’Iran il professor Abdolmohammadi vede una chance anche per l’Italia. “È un passo importante anche per l’Italia, perché da Vienna è stato portato a Roma, oltre a questo penso che il negoziato sia frutto di doppia pressione” - ha considerato il professore - “da una parte di Trump, dall’altra la questione del nucleare portata avanti da Israele”. Un’apertura che Abdolmohammadi definisce tuttavia “tattica” verso l’Iran, perché si inserisce in una strategia precisa verso la repubblica islamica. “A Trump non interessa a livello strategico entrare in contatto con la repubblica islamica dell’Iran – spiega il professore – così come non gli interessa avere un rapporto profondo con Erdogan in Turchia e con il Quatar, perché sono tutti e tre attori che hanno portato avanti Islam politico radicale. Tatticamente fa questa mossa per indebolire ancora di più la Repubblica islamica”.

Un accordo che la Repubblica islamica avrebbe accettato di firmare in una situazione che la vede in ginocchio, tra le crisi economica, e bersaglio di un dissenso popolare che coinvolge l’80% della società. “In più ha perso i proxy, hezbollah è sotto colpo, Hamas è molto indebolito, le nazioni sciite e irachene sono pienamente neutralizzate”.

Sul tavolo c’è poi il tema della ricostruzione di Gaza. “È difficile interpretare Trump”, ha premesso Valeria Talbot. “Trump ha lanciato questo piano, trasformare Gaza nella riviera del Medio Oriente. Per noi potrebbe sembrare una battuta, ma per Trump non lo è”, ha chiosato Talbot. Il progetto prevede il trasferimento di due milioni di palestinesi in Giordania ed Egitto. Un’iperbole, che molti osservatori hanno ricondotto allo stile sempre sopra le righe del presidente. “Questo ha provocato una levata di scudi da parte di Egitto e Giordania e da parte dei paesi del Golfo”.  Intanto la situazione nella striscia rimane drammatica. “Le Nazioni Unite hanno stimato che lo smaltimento dei detriti vorrebbe dieci anni e la Banca Centrale ha stimato che per la ricostruzione di Gaza ci vorrebbero 53 miliardi di dollari.

C’è poi la partita della concorrenza con la Cina, che si gioca sul piano delle infrastrutture e dell’intelligenza artificiale. “Trump vuole creare un corridoio tra India, Medio Oriente ed Europa, per competere con la via della seta”, spiega Talbot. Un obiettivo che richiede la stabilità nel Medio Oriente.

(ee)


Immagini