L’avvicinarsi di una scadenza importante, quella delle elezioni europee, e quindi ad una serie di passaggi delicati economici e politici, porta inevitabilmente alla riflessione sul tema del futuro dell’Europa.
I protagonisti dell’incontro di oggi si sono soffermati dapprima sul tema del nuovo Patto di stabilità e crescita. Più vantaggi o criticità?
Le risposte sono pressoché unanimi. Per Francesco Saraceno, profondamente deluso dal processo di riforme, l’approccio era effettivamente quello giusto. Poi è iniziato quel lungo processo negoziale che ha mantenuto sostanzialmente la formula del vecchio Patto, anzi, per certi versi lo ha addirittura peggiorato, come l'introduzione da parte di alcuni paesi - la Germania - delle cosiddette clausole di salvaguardia, che con dei vincoli a scadenza annuale, rallentano gli ingranaggi del quadro riformatorio.
La Presidente della Fondazione Giacomo Brodolini, Annamaria Simonazzi, collegandosi a quanto detto da Saraceno, ha sottolineato il fatto che non si può parlare di Patto di stabilità a prescindere da ciò che succede nell’economia, sia in un singolo paese, sia in un’Europa, dove, secondo le stime della Commissione europea, 11 paesi saranno in inflazione e quindi costretti ad attuare politiche di risanamento, di austerità e quindi, di non espansione. Permane l’idea di mettere regole sul bilancio a prescindere da ciò che succede nell’economia - ha spiegato la Presidente Simonazzi - quindi, tutto si gioca sulla stabilità e non si guarda mai a ciò che succede al reddito. Da questo punto di vista, nulla si dice sulla qualità della spesa che diventa sempre più importante e abbisogna di essere collegata a politiche altrettanto adeguate.
Anche l’economista Salvatore Rossi è concorde con Saraceno sul fatto che le cose non siano cambiate, anzi, peggiorate. Il nodo del Patto di stabilità e crescita risiede nella crisi globale del 2008 che ha scompaginato le credenze economiche e politiche dei paesi europei, quando iniziò a maturare l’idea che quella rigidità implicita nelle regole andasse in qualche modo attenuata o eliminata. Da lì, un negoziato che ha portato ad un compromesso senza modifiche sostanziali ma ha dato alla Commissione Europea un immenso potere di stabilire discrezionalmente la traiettoria che il paese in inflazione doveva seguire.
Il presidente della Società Italia Mario Pianta, ha ben riassunto la situazione. Dieci anni fa il “Titanic” dell’Europa andava a sbattere contro l’"iceberg" dell’austerità; nel frattempo perdeva dei pezzi con la Brexit e quando sembrava esserci calma piatta, ecco la tempesta della pandemia, una grandissima recessione da cui si è ripartiti solo grazie ai motori della politica fiscale nazionale, per cui tutti i paesi hanno aumentato il rapporto spesa pubblica/pil di dieci punti di percentuale. Oggi sembra che il “Titanic” dell’Europa vada a ricercare quell’iceberg dove si è schiantata dieci anni fa. Ma ci sono due elementi che aggravano la situazione: siamo allo 0,4% di crescita in Europa, le previsioni sono di ristagno anche nel 2025, il motore tedesco non funziona più, quindi abbiamo un contesto macroeconomico caratterizzato dall’incapacità di crescita dell’economia. Secondo elemento, è cambiata la politica monetaria che è diventata restrittiva e che condiziona pesantemente, non solo la liquidità delle imprese, ma anche la capacità di rifinanziamento del debito da parte dei governi. Una situazione davvero delicata ed è paradossale - ha detto il Presidente Pianta - che di questo non vi sia traccia nel dibattito di alcun paese per le elezioni europee.
L’Europa che vogliamo ha proprio a che fare con il tipo di prospettive di crescita e di qualità dello sviluppo e questa discussione è fortemente condizionata da politica monetaria e politica fiscale. La cosa più drammatica comunque, rimane un problema di tipo culturale che affligge l’Europa che non riesce ad affrontare, anzi tergiversa, sul dibattito transizione ecologica, senza contare che altri stati, soprattutto la Cina, stanno già investendo migliaia di miliardi, e hanno capito che la transizione ecologica è il vero volano di crescita. La sfida europea quindi, si gioca sul fatto se riusciremo o meno a salire sul treno della crescita e innovazione.
Infine, sul ruolo della politica industriale europea, tutti sono concordi sul fatto che essa presenti più di un punto critico, tra cui la mancanza di una strategia, non solo per indirizzare i necessari investimenti pubblici per affrontare i ritardi enormi accumulati nell’economia digitale e green, ma anche per trascinare gli investimenti privati. Perché il grande successo della Cina è stato nell’aver dato delle direttive chiare alle imprese su dove investire. L’idea che in Europa non ci sia un ruolo guida è un problema molto serio, come la mancanza degli investimenti pubblici, soprattutto in vista dell’obiettivo di colmare il divario con USA e Cina.