La giuria era formata da tre cineasti di rilievo internazionale: Rosemarie Blank, tedesca, nata in Polonia e da anni residente ad Amsterdam dopo una lunga permanenza in Toscana, l’iraniano Hamid Jafari, pluripremiato membro dell’associazione dei documentaristi iraniani, e l’armena Sara Nalbandyan, documentarista e docente formatasi al DAMS di Bologna. Obiettivo principale dell’Apricot Tree Festival è quello di far conoscere al pubblico costumi e tradizioni, arte e artigianato di grandi e piccole nazioni e interessare i giovani registi alla materia etnografica e antropologica, stimolando la loro ricerca creativa. Il festival, nelle parole degli organizzatori, vuole pertanto “sia auscultare il cuore dei diversi gruppi etnici e comunità, sia servire come terreno di incontro, a contatto con la grande cultura armena, sulla quale registi di tutto il mondo possano incontrarsi, condividere e discutere idee e progetti”. Per il concorso 2016, organizzato dal Ministero della cultura della Repubblica armena con il supporto dell’Università Russo-Armena di Erevan, erano stati selezionati 34 documentari da tutto il mondo, suddivisi in una sezione di mediometraggi (meno di 40') e di lungometraggi (più di 40'). Per i lungometraggi, vince May I Enter (Olanda, 2010, 57') della regista bosniaca Kostana Banovic e secondo premio a Habitat (Italia, 2014, 55') dell’italiano Emiliano Dante, intenso, partecipato reportage sulla vita quotidiana a L’Aquila dopo il terremoto. Per i cortometraggi, vince Holy God (Russia, 2016, 25') della regista crimeana Vladena Sandu, e secondo premio a The end of the world (Polonia, 2015, 39') della polacca Monika Pawluckzuc.
Al regista italiano Felice Fornabaio, talentuoso reportagista lucano residente a Berlino, è andato il Premio dell’Associazione dei Cineasti di Gyumri per il suo film Radici (Italia, 2015, 25') che parla del Maggio di Accettura, il famoso rito arboreo perfettamente analogo a quello nostrano dell’albero di Grauno, in singolare sintonia con il tema di Carnival King of Europe a cui è andato appunto il Premio Speciale della Giuria.
Come è noto, Carnival King of Europe è stato realizzato nell’ambito dell’omonimo progetto europeo, che ha visto affiancati al Museo di San Michele, a partire dal 2007, i musei etnografici di Bilbao, Marsiglia, Zagabria, Lubiana, Skopje, Sofia, Sibiu e Varsavia. Il film si ispira alla nuova visione di carnevale e mascherate, poi messa a punto da Kezich nel suo libro Carnevale re d’Europa (2015), alla ricerca della radice comune dell’identità culturale europea a partire dalle mascherate invernali, e dalle sorprendenti somiglianze che esse rivelano, nei personaggi, nelle azioni e nella struttura delle sequenze rituali.
Quello di Erevan è il terzo riconoscimento internazionale che Carnival King of Europe porta a casa, dopo quello prestigiosissimo di Kyoto (2009) e quello di Čadca in Slovacchia (2014).
Kezich, che insieme al professor Levon Abrahamian, decano dei folkloristi armeni, è stato anche protagonista a Gyumri di una conferenza sul tema “L’antropologia visiva e le mascherate dell’inverno europeo”, ha espresso grande soddisfazione per questo ennesimo riconoscimento all’attività di ricerca scientifica del Museo: “In un momento in cui la nostra identità e la nostra stessa ragion d’essere vengono a essere messi in discussione dai prospettati nuovi rimpasti legislativi, questi riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio, e altrettanto assolutamente genuini nel loro modo di manifestarsi, ci confermano di essere sulla buona strada: che è quella che nel Museo e dal Museo si possa fare buona ricerca scientifica anche nel comparto etnografico, che è poi la storia dei popoli d’Europa, e che si possa fare questo per contribuire sempre più a mettere il Trentino nella carta d’Europa, e a portare l’Europa nel Trentino”.