In Italia l’ipertensione arteriosa rappresenta la più importante causa di malattie cardiovascolari, come l’infarto miocardico e/o l’ictus cerebrale, lo scompenso cardiaco e aritmie come la fibrillazione atriale, e contribuisce allo sviluppo di insufficienza renale cronica. I dati più recenti dicono che più del 30% della popolazione italiana adulta è affetta da ipertensione arteriosa, con percentuali ampiamente superiori nelle fasce più avanzate di età. L’ipertensione arteriosa è in aumento anche tra bambini, adolescenti e giovani (ne soffre circa il 10%), soprattutto a causa dell’obesità sempre più diffusa. In generale, si evidenzia anche una non corretta gestione della malattia: in solo la metà dei casi circa l’ipertensione arteriosa viene controllata dalla terapia, mentre nella restante metà – malgrado la terapia – i valori pressori restano elevati. Almeno il 30% degli italiani, inoltre, ha valori di pressione arteriosa elevati, ma non lo sa perché l’ha misurata irregolarmente o addirittura mai. Da qui l’importanza di promuovere annualmente un momento dedicato alla prevenzione e alla sensibilizzazione di una patologia che può avere conseguenze molto gravi.
Il Centro ipertensione dell’ospedale di Rovereto rappresenta un punto di riferimento nel Sistema sanitario provinciale per la diagnosi e la cura dell’ipertensione arteriosa. Lo scorso anno ha ottenuto il riconoscimento della SIIA come centro accreditato di secondo livello per la diagnosi e la cura dell’ipertensione arteriosa, in particolare delle forme più complesse. Istituito nel 1993 il Centro ha curato oltre 10 mila pazienti; al suo interno vengono eseguite prime visite e visite di controllo con esecuzione di eco-color-doppler vascolare (arterie carotidi e arterie renali) e cardiaco, monitoraggi pressori delle 24 ore per adulti e bambini, screening per le ipertensioni secondarie e percorsi educazionali mirati. Nel corso del 2023 è stato inoltre avviato il percorso di denervazione delle arterie renali, ultima frontiera nel trattamento dell’ipertensione, nelle sue forme «resistenti o refrattarie», ovvero non curabile con i farmaci.