Sabato, 13 Ottobre 2018 - 21:19 Comunicato 2481

"Eravamo quasi in cielo", va in scena il coraggio

Al Muse va in scena "Eravamo quasi in cielo", uno spettacolo di Gianfelice Facchetti, attore, drammaturgo e regista teatrale, che narra del campionato di calcio 1943-44, vinto dal La Spezia Calcio, squadra dell’omonima città. Una squadra nata quasi per caso, capace di raggiungere un risultato impensabile, perché nata tra i bombardamenti e le tante difficoltà, non solo organizzative. Una partita incredibile che non trova spazio nell’albo d’oro del campionato di calcio, dove il calcio giocato è diverso diverso da quello al quale siamo abituati, il calcio al tempo della guerra, con le sue gioie, i suoi dolori e le sue contraddizioni. Ma una partita vissuta come se la guerra fosse lontana. Anche questo, un modo di vivere, di sopravvivere, un modo per salvarsi. Il messaggio è invito rivolto ai giovani in particolare, che rivela quanto lo spirito sportivo può essere inarrestabile e determinante, almeno quanto l’impegno di quei ragazzi che, abituati a mettere in gioco la propria vita per salvare quelle altrui dalla devastazione delle fiamme, scelgono di “combattere” sul campo da gioco, vincendo contro ogni pronostico e contro le innumerevoli avversità di quei giorni che hanno reso memorabili.

Lo spettacolo di Gianfelice Facchetti e Marco Ciriello (con Gianfelice Facchetti e L’Ottavo Richter Trio Raffaele Kohler, Luciano Macchia, Domenico Mamone, scenografie e costumi di Vittoria Papaleo) racconta una delle pagine più romantiche della storia del calcio italiano: i protagonisti sono i Vigili del Fuoco Spezia, Bani, Borrini, Amenta, Gramaglia, Persia, Scarpato, Tommaseo, Rostagno, Costa, Tori e Angelini, guidati da Ottavio Barbieri. Nel 1944, con la Seconda Guerra Mondiale giunta ad un punto cruciale, percorrono il Nord Italia a bordo di una vecchia autobotte modificata e sempre sotto il rischio dei bombardamenti, arrivano a quell'indimenticabile 16 luglio 1944, quando i colpi di Angelini stendono l'imbattibile Torino, portando gli uomini di Ottavio Barbieri sul tetto d’Italia. Una squadra formata da ragazzi forti e fortunati, perché messi in salvo dal calcio.

Questa vicenda è ormai divenuta un vero e proprio “mito”, fondato sullo spirito sportivo, sull’impegno e sul superamento di ogni avversità grazie alla collaborazione ed al sacrificio dimostrato da questi “eroi”. Il raccontarla è un invito rivolto ai giovani in particolare, che rivela quanto lo spirito sportivo può essere inarrestabile e determinante, almeno quanto l’impegno di quei ragazzi che, abituati a mettere in gioco la propria vita per salvare quelle altrui dalla devastazione delle fiamme, scelgono di “combattere” sul campo da gioco, vincendo contro ogni pronostico e contro le innumerevoli avversità di quei giorni che hanno reso memorabili.

"Siamo fatti di macerie e di fango. La nostra storia è stata scritta su fogli di carta che presto sono stati distrutti. Ma un giorno un Dio creò le figurine e l'album per raccoglierle. E creò la memoria". Con queste parole Gianfelice Facchetti, attore, drammaturgo e regista teatrale, introduce lo spettacolo.

Questa storia doveva trovare una sua memoria e l'ha ritrovata in questo spettacolo. "La sua giusta collocazione in una trascrizione teatrale  - spiega Facchetti - dopo tanti anni, ho sentito che era giunto il momento di farlo: insieme a Marco Ciriello lo abbiamo scritto e abbiamo debuttato a Milano e stiamo girando l'Italia da un po' di mesi con molta soddisfazione».

Il pubblico da un lato reagisce con sorpresa e stupore alla storia narrata, perché in realtà, pochi la conoscono; quando poi realizzano che è tutto vero ed è accaduto realmente, c'è una sorta di empatia con quella squadra, quella città e quel vissuto: un senso di rivalsa per un'ingiustizia di una vittoria che non ha mai trovato una collocazione fino in fondo nel calcio italiano. 

«Oggi il calcio è cambiato molto - racconta Facchetti - e ritrovare quella purezza e quei valori che hanno vissuto i giocatori dello Spezia è molto difficile: io però sono un'ottimista per natura e credo che la voglia di raccontare una storia del genere dopo settant'anni serva molto, soprattutto ai giovani. Quando si sentono storie di persone che hanno vissuto con coraggio e con un altro spirito situazioni che oggi abbiamo un po' perso, ecco, questo è un modo per rinfrancarsi e darsi da fare. Sono cambiate molte cose, ma oggi secondo me sono proprio i giovani che si affacciano al calcio quelli che hanno fame di storie come questa e perciò sono il pubblico ideale rispetto agli adulti».



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